L’IMPICCAGIONE DEL CADAVERE DI ZAHRA ESMAILI

Il nome di Zahra Esmaili sta facendo da sabato scorso il giro del mondo per quello che appare come un gesto crudele e inspiegabile. Condannata all’impiccagione per l’omicidio del marito, Zahra è morta d’infarto, a quarantadue anni, dopo aver assistito a sedici esecuzioni prima della sua. Il suo corpo è stato comunque appeso al cappio, malgrado fosse già morta. A denunciare l’accaduto è stato il suo avvocato, poi ripreso dalla Bbc, che ha diffuso la notizia. Stando a quanto emerso, l’efferatezza di questo gesto sembra legata alla particolarità della storia di questa donna.

Nel 2018 Zahra confessa l’omicidio del marito a seguito di innumerevoli violenze subite, da lei e dai figli. I precedenti tentativi di denuncia si erano rivelati del tutto vani, in particolare perché il marito era un potente uomo dell’intelligence. L’attenzione su questo caso aveva raggiunto livelli notevoli sui media, che cercavano di sottolineare il contesto all’interno del quale Zahra si era trovata a commettere l’omicidio. Difficile pensare che la volontà di umiliazione e il portato simbolico di questa impiccagione siano svincolati da tutto questo. 

Infierire sul corpo dopo la morte è un atto più che codificato tra i comportamenti umani, fin dal mito: basti pensare alla vendetta di Achille sul cadavere di Ettore. Riflettendo sugli aspetti che contraddistinguono questi gesti si notano tratti distintivi: l’ostensione del corpo e l’esemplarità. In questo caso si potrebbe dire che si impicca il cadavere di una donna per dire a tutte le altre di non fare quanto ha fatto lei. E purtroppo sappiamo che di donne come Zahra ce ne sono tante. Molte in Iran, in cui i casi di donne che uccidono mariti violenti per difesa e vengono poi condannate a morte sono svariati. Ma altrettante nel resto del mondo, dove anche in assenza della pena di morte fin troppo spesso le donne che denunciano abusi sono poi vittime di femminicidio. 

Ad aggiungere orrore alla storia di Zahra, secondo alcune fonti, concorrerebbe il fatto che forse non sarebbe stata nemmeno lei a uccidere il marito. Sarebbe stata la figlia, con un colpo di pistola, in reazione a un tentativo di stupro da parte del padre. Zahra avrebbe in quel caso confessato per proteggerla. 

La repubblica islamica dell’Iran è da tempo sotto gli occhi dell’Onu proprio per il numero spropositato di esecuzioni, e pare che Zahra Esmaili sia stata la centoquattordicesima donna giustiziata sotto il mandato del presidente Hassan Rouhani. È il patriarcato stesso che manda un messaggio attraverso il corpo di Zahra. Un sistema che replica ancora e ancora le sue dinamiche di potere e oppressione. La crudeltà insita in quanto accaduto ha portato la notizia in tutto il mondo, occorre sperare che questa efferatezza lasci un segno. Un segno la cui forza non faccia disperdere nel vento il nome di un’altra donna uccisa da un mondo in cui non vogliamo vivere. 

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