Recensione della Mano sinistra del Buio di Ursula K. Le Guin

Genly Ai, maschio terrestre, cammina da giorni tra i ghiacci impietosi di un pianeta lontano, e quando Estraven, la persona aliena che affronta con lui il terribile viaggio, gli chiede: «In che modo l’altro sesso della tua razza è diverso dal tuo?» lui risponde; «Non so, non ci ho mai pensato».

Genly Ai è sul pianeta Gethen da due anni e ormai ha imparato a conoscere i suoi abitanti. Su Gethen parlano altre lingue, hanno altre religioni e altri miti fondatori, ma la principale differenza con la Terra è nella fisiologia di chi la abita, che per la maggior parte del tempo non ha un sesso. Ogni persona di Gethen è neutra (così viene definita nel libro) per tre quarti del mese, prima di entrare in kemmer, fase in cui assume le caratteristiche maschili o femminili e prova desiderio sessuale. Ogni mese una persona in fase di kemmer può diventare maschio o femmina, e questo dipende da una serie di fattori, non ultimo la presenza di altre persone in kemmer, perché «il genere, e la sua potenza, non si realizzano in isolamento». Questo comporta che il padre di alcunɜ figliɜ può anche essere la madre di altrɜ. Anche se ormai conosce bene la fisiologia getheniana, l’inviato terrestre non riesce a cogliere fino in fondo come sia possibile che le persone che incontra non solo non abbiano un sesso, ma neanche un genere, ed è sempre alla ricerca di tracce di genere nei corpi e negli atteggiamenti getheniani. Oggetto del suo interesse è, più di chiunque, Estraven, con cui intraprende il difficile viaggio nel territorio ghiacciato e con cui intesse una relazione affettiva.

Come Genly Ai, anche chi legge fatica a liberarsi dalla domanda perenne «è maschio o è femmina?» rispetto a chi incontra, e la sola esistenza degli abitanti di Gethen fa scontrare con un’altra realtà e, vanifica la domanda, innesca il cortocircuito.

La riflessione sul genere permea ogni riga della Mano sinistra del buio, capolavoro di Ursula K. Le Guin (1929-2018), scrittrice statunitense. Nella prefazione al romanzo l’autrice riflette sul genere letterario della fantascienza e dichiara solennemente che «la fantascienza non prevede; descrive». Non il futuro, quindi, ma il presente, è al centro dei romanzi di fantascienza. Il presente della Mano sinistra del buio è il 1969, anno di pubblicazione del romanzo (e siccome ci piacciono le coincidenze, anche l’anno dei moti di Stonewall). In Italia viene pubblicato nel 1971 con la traduzione di Ugo Malaguti.

Come prevedibile, la presenza di persone senza genere ha da subito innescato il problema linguistico: come tradurre? La scelta, anche questa volta, è ricaduta sul maschile plurale.

Nel 2021 è stata pubblicata una seconda traduzione, a cura di Chiara Reali. Sebbene ancora spesso scelga di usare il maschile, la traduttrice tenta soluzioni alternative, ricreando perfettamente nella traduzione il cortocircuito generato dai soggetti: «La mia padrona di casa, un uomo ciarliero» (p.43). Così chi legge si trova davanti ai propri schemi infranti e sovvertiti, a partire dalle regole grammaticali. 

Era necessario attraversare le galassie, raggiungere un pianeta lontano, camminare per giorni nel ghiaccio, perché l’uomo terrestre si interrogasse sul genere, l’altrui e il proprio. Era necessario uno spazio inesplorato, nuovo, per trovare la libertà necessaria, la rottura degli schemi. La mano sinistra del buio, da più di cinquant’anni, continua ad accompagnarci in questo viaggio.

Immagine nel testo da wikimedia.org, flikr.com