IL MARKETING GAY TURISTICO E POLITICO DI ISRAELE E GRECIA
Lunedì 4 gennaio un sito di informazione LGBTQIAP+ italiano ha pubblicato una guida turistica in cui Israele viene definito, a partire dal titolo, un «paradiso del benessere e dei sapori», oltre che «la nazione più friendly del Medio Oriente». Che Israele cavalchi il rainbow washing in chiave turistica per ripulire la propria immagine, tentando così di far dimenticare i casi di omofobia in aumento, legati in gran parte alla comunità ultraortodossa, la brutale occupazione militare di Cisgiordania e Striscia di Gaza e le leggi razziste rispetto al popolo palestinese, non è certo una novità di cui stupirsi. Brand Israel è una campagna creata dal governo israeliano nel 2005, ne abbiamo scritto sulla Falla in occasione della campagna di boicottaggio dell’Eurovision Song Contest che si è svolto nel 2019 a Tel Aviv, in concomitanza con il Pride.
In questo caso recente, però, il marketing arcobaleno si intreccia con il tema della vaccinazione contro il Covid-19. Nel lungo articolo promozionale, realizzato in collaborazione con l’Ente per il Turismo israeliano, si legge infatti che Israele sarebbe «una delle mete più sicure sul rischio Covid: al 4 gennaio 2021 circa il 12% della popolazione israeliana è già stata vaccinata, a questi ritmi basterebbero circa 2 mesi per vaccinare tutti i 10 milioni di abitanti; perciò già nei primi mesi del 2021 Israele potrebbe riaprirsi al turismo».
Peccato che, proprio il giorno prima, domenica 3 gennaio, il quotidiano britannico The Guardian avesse rivelato l’esclusione dalla campagna vaccinale israeliana di milioni di palestinesi che vivono nei territori occupati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le dosi del vaccino Pfizer-BioNTech, comprate da Israele per 62 dollari l’una, contro i 19,50 pagati dagli Stati Uniti, vengono infatti distribuite solo ai coloni ebrei e non a circa 2,7 milioni di palestinesi che potrebbero dover aspettare settimane o mesi per l’avvio delle vaccinazioni. L’Autorità palestinese spera di ottenere gran parte del proprio fabbisogno di vaccini da Covax, programma vaccinale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rivolto ai paesi economicamente più svantaggiati, ma, proprio secondo funzionari dell’Oms, questi vaccini non arriveranno prima di marzo.
Anche alla luce di queste notizie, che smentiscono nei fatti la propaganda veicolata dall’Ente per il Turismo, Israele può definirsi un «paradiso del benessere» forse giusto per i maschi gay ashkenaziti e i turisti bianchi benestanti (le immagini pubblicitarie ritraggono solo modelli maschili dai fisici scultorei) a cui si rivolge questa bieca operazione di rainbow washing. Sicuramente non lo è per le/i palestinesi queer, spesso sottopost*, come ricorda Morning Star Online, a pesanti ricatti da parte delle Forze di Difesa israeliane, che monitorano attività online e telefonate per identificare nuov* potenziali informator*, minacciandol* di outing con le loro famiglie e amici, qualora si rifiutassero di collaborare.
Come riesca a conciliare il proprio orientamento sessuale e l’essere attivista per i diritti umani con il far parte di un governo che calpesta sistematicamente i diritti dei migranti e criminalizza le ONG, vuole privatizzare la sanità pubblica, per di più nel pieno di una pandemia (sanità per altro già duramente colpita dalla folle austerity imposta pochi anni fa dalla Troika), favorisce le trivellazioni per l’estrazione del petrolio da parte dell’industria dei combustibili fossili, ha un Ministro dell’Interno di estrema destra e ultranazionalista, Makis Voridis, accusato di antisemitismo e contrario alle unioni civili, una viceministra dell’Immigrazione con delega all’Integrazione dei Rifugiati, Sofia Voultepsi, nota per aver definito i migranti «invasori disarmati», è solo affar suo e della sua coscienza. A lasciare basit* è soprattutto la superficialità con cui la notizia della sua nomina è stata data, salvo rarissime eccezioni, limitandosi a celebrare il primato del gay che ricopre un incarico governativo di rilievo (in alcuni casi erroneamente confuso con la carica di Ministro), esattamente ciò che immaginiamo volesse ottenere il premier greco. Sarebbe stato sufficiente un semplice lavoro di ricerca e fact checking per frenare tutto l’entusiasmo, francamente immotivato, verso un uomo gay, che seppure di bell’aspetto, di mestiere fa il politico e quindi dovrebbe essere giudicato solo in virtù della proprie scelte e azioni in quell’ambito, anziché essere trattato come un attore, cantante o modello, con tanto di photo gallery pubblicate con immagini prese dal suo profilo Instagram.
Rivestire il ruolo del grillo parlante guastafeste non sempre è piacevole ma, in quanto attivist* che credono nell’intersezionalità delle lotte e fanno informazione, spetta a noi smascherare puntualmente le trappole del rainbow washing, mantenendo sempre alto quello spirito critico necessario per evitare facili e odiose strumentalizzazioni.
Immagine in evidenza da lgbts.yale.edu, nel testo da invictapalestina.org, da queersagainstapartheid.org e da instinctmagazine.com
Perseguitaci