In quarant’anni di partecipazione ai movimenti di liberazione sessuale ho spesso sentito affermare, anche da esponenti noti e autorevoli, che gay, lesbiche, bisex, transgender, genderqueer e tutta la varia varietà di identità provvisorie, comportamenti sessuali e affettività costituirebbero una minoranza.

Se anche fossimo una minoranza, lo saremmo tra le altre. Le società, in particolare quelle attuali, sono talmente diversificate e frammentate che non esistono maggioranze solide e culturalmente omogenee: su ogni questione si formano schieramenti diversi e dai contorni sfumati.

Penso sia preferibile affermare che si sia una parte tra altre parti che, per scelta, si denota in quanto elabora pensieri, pratiche e riflessioni sulle sessualità, sui ruoli, sulle relazioni tra corpi e poteri.

Condivido il pensiero di Mario Mieli (Elementi di critica omosessuale, 1977): le omosessualità (e le eterosessualità) attraversano l’universo di ogni persona ed è solo attraverso un processo di educastrazione che si tenta – spesso, ancora oggi, con successo – di espungere dall’orizzonte delle nostre esistenze la complessità e la varietà dei desideri e di fare di noi delle persone a una sola dimensione.

Infine, basterebbe forse riflettere su quanto sia psicologicamente, individualmente, devastante e politicamente imbarazzante definirsi minoranza, quanto costituisca una immagine subalterna e negativa per abbandonarla definitivamente dal nostro lessico e dalle nostre autorappresentazioni.

pubblicato sul numero 31 della Falla – gennaio 2018