A volte mi chiedo se non sarebbe stato meglio morire più giovane. 

Non tanto per gli acciacchi della vecchiaia, per il corpo che tradisce e aggrinzisce, il passo che si fa più lento e il fiatone dopo pochi metri in salita. 

Un po’ anche per questo. Certe mattine… A volte penso ad Antonio Frainer che è morto a 35 anni, 25 anni fa. Con ancora le belle speranze che il mondo potesse cambiare in meglio, con negli occhi un futuro meno grigio di quello che ci si prospetta da qualche tempo in America Latina come negli Usa, in Europa come in Turchia, in Russia o in Cina o in molti Paesi africani. 

Non vorrei vivere i miei ultimi anni con l’autoritarismo manettaro della Lega al governo, o in una Emilia-Romagna conquistata dai clericali reazionari della destra. L’elezione sarà un ballottaggio: voterò Bonaccini, e una lista comunista, splittando il voto e nonostante tutto. 

A volte penso al mio nonno materno, contadino, che si era iscritto al Partito Comunista d’Italia nell’anno della sua fondazione, il 1921, quasi un secolo fa (nel 1926, col fascismo, il partito entrò in clandestinità); al suo funerale una banda suonò Bandiera Rossa e l’Internazionale e le bandiere delle sezioni del Partito Comunista si inchinarono, per omaggio, fino a toccare la bara con un secco «toc!». 

A volte penso che le belle speranze non muoiono mai, che siamo costretti a essere irriducibili perché in gioco c’è la nostra umanità. 

E poi non è male andare controcorrente, ci si diverte di più. Anche da vecchi. 

Mi guardo allo specchio, e sorrido.

Pubblicato sul numero 51 della Falla, gennaio 2020