Fratelli d’Italia (FdI) risulta essere il primo partito tra le elettrici che il 25 settembre si sono recate alle urne, vince con il 26% dei voti espressi mentre, nel 2008, il Partito Democratico (PD) di Walter Veltroni perdeva con il 33,2%. Un dato drammatico se lo leggiamo in prospettiva, perché ci catapulta in uno dei problemi più gravi che affligge la nostra democrazia, l’astensionismo: passiamo da un’affluenza dell’84,24% del 2006 a quella odierna del 63,79%, con una progressione chiara che testimonia l’allontanamento costante delle cittadine dalla gestione consapevole della cosa pubblica.

Va riconosciuto a FdI il merito di aver creato e seguito una strategia identitaria puntuale non solo in quest’ultima campagna elettorale ma lungo tutto il corso degli ultimi dieci anni; credo, però, che possiamo evidenziare come concausa del successo elettorale delle destre italiane la totale inazione delle supposte sinistre. Il maggior partito di opposizione, il PD, vive un dramma autoreferenziale più psicoanalitico che politico, all’interno del quale si uccidono padri, madri, totem (ma nessun tabù, sia mai) con la stessa frequenza di una puntata di Game of Thrones. Un Partito Democratico senza identità, incapace di elaborare una nuova narrazione del mondo, talmente allo sbando che, nella circoscrizione della rossa Bologna, per quanto riguarda i collegi uninominali, ha eletto Virginio Merola alla Camera ‒ già sindaco degli sgomberi e della gentrificazione ‒ e Pier Ferdinando Casini al Senato, esponente della peggiore destra democristiana. Un PD supponente ed elitario, perennemente alla ricerca del voto moderato tanto da trasformarsi in un partito di centrodestra assuefatto al feticcio dell’agenda Draghi. A sinistra del PD? Poche idee, molto confuse. 

Oggi siamo chiamate a un grande sforzo di consapevolezza, un esercizio di giudizio critico impegnativo, ci si chiede di scegliere tra la costruzione di un cambiamento che parta da noi e lo status quo. Esempi significativi di questo scontro in atto sono avvenuti in due piazze recenti: a Roma, all’interno della manifestazione di Non Una Di Meno, un gruppo di giovani attiviste ha invitato Laura Boldrini ad allontanarsi; a Firenze una ventina di manifestanti ha contestato Eugenio Giani durante lo sciopero indetto in solidarietà ai rider. Uno scontro generazionale, tra generazioni politiche, dove è alle volte difficile posizionarsi ma all’interno del quale è evidente quanto termini antichi come “classe” e “coscienza di classe” stiano acquisendo una sempre più concreta contemporaneità. Gli esiti di queste elezioni ci hanno scoperte come forse non volevamo vederci: di estrema destra, senza sinistre credibili; disposte a votare il Movimento 5 Stelle guidato da un ex avvocato del popolo ora teleimbonitore; impegnate a cercare disperatamente nomi come Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro, nonostante gli imbarazzanti crogioli di potere che li hanno candidati. Ma gli esiti di queste elezioni ci hanno anche scoperte desiderose, ardenti, rivoluzionarie: dobbiamo riconoscerlo, dobbiamo riconoscerci e dobbiamo capire da che parte stare.

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