Regia di Arantxa Echevarria, Spagna, 2018, 103’)
La quasi totalità della rappresentazione mainstream della comunità gipsy riguarda il matrimonio: luccicante, rumoroso, esagerato, eterosessuale. Paillettes a parte, se non fosse per alcuni episodi di reality show o qualche articolo sparso nella rete, l’identità gitana verrebbe percepita come qualcosa di totalmente avulso dalla comunità LGBT+.
L’occhio della cinepresa è delicato nel descrivere lo sbocciare lento della storia d’amore tra le due, neutrale anche nel ritrarre le discriminazioni che subiscono le protagoniste. In quanto gipsy, marginalizzate, sorvegliate «come ladri» dalla torretta di controllo che svetta sul quartiere, trattate in maniera sprezzante dai gagé (i non gitani). In quanto lesbiche all’interno della comunità: per i genitori di Lola l’amore tra le due ragazze è «un peccato gravissimo», una voce malevola sulle bocche di tutti i vicini e un problema da sanare con gli esorcismi e l’esilio dalla comunità.
Echevarria ha un passato da documentarista (ha diretto nel 2010 per la Tve Cuestion de Pelotas, inchiesta su calciatrici che, invece di essere assunte come professioniste, venivano impiegate come addette alle pulizie) che viene alla luce nella descrizione accurata ma priva di condanne e finisce per appiattire eccessivamente i personaggi alla trama e al messaggio del film, senza restituirne la complessità e la crescita. Carmen y Lola resta però un film da vedere sia per l’ottima recitazione degli attori, tutti esordienti, che per la domanda aperta del finale: se sia possibile immaginare per le due protagoniste (e per altre dopo di loro), un mondo in cui radici gitane e libertà di amare non debbano escludersi a vicenda.
Perseguitaci