Vent’anni fa mi fecero notare una dicitura, scritta al contrario e stampata capovolta, sulla quarta di copertina del programma di uno dei più grandi e importanti centri culturali d’Europa, il Link. Biffiadorasatana. Era piccolissima, tono su tono. Poteva solo essere rivelata, come un segreto. Rimasi piacevolmente colpito da quella maledizione. Discreta, ben indirizzata e solo per adepti. Ho sempre considerato il satanico e l’angelico, il buono e il malvagio, la fortuna e la sfiga, come tante tinte, più o meno scintillanti, di questa Las Vegas che è la nostra anima. “Le insegne luminose attirano gli allocchi” professava Lindo Ferretti prima di restare folgorato sulla via di Damasco. E allocchi mi son sempre sembrati satanisti, buonisti, fortunati e sfigati. Questa piccola scritta sembrava più virale di una terra promessa, di un al di là fatto di contrappassi o di una slot machine sputasoldi.

Conteneva una parola chiave che per me, ventenne completamente immerso nella sottocultura gay, non poteva passare inosservata. Adoro. Come molti di voi sapranno, due erano le esclamazioni ammesse nell’ambiente. Preo e Adoro. Una il contrario dell’altra. Comunque da loro non si sfuggiva. Ecco perché trovai molto friendly quella dicitura. Mi promisi che avrei fatto altrettanto non appena ne avrei avuto la possibilità. Come a continuare una tradizione destinata a pochi eletti. Avrei anch’io messo in giro una voce, un segreto, una diceria su un cardinale o equipollente.

Diventai direttore artistico del Cassero, iniziai a stampare molta carta e cambiò il cardinale. Cambiammo anche sede, rilasciando l’ostaggio di Porta Saragozza ad un’adorazione secondo alcuni più pertinente. Il nostro bacino di utenza si ampliò. La pubblicità diventò meno necessaria. In alcuni casi sconsigliata: eravamo sempre sopra i limiti della capienza sopportabile.

Ma il progetto dal sapore sinistro e di intento monello continuava a covare tra gli appunti. Finché un bel giorno, in accordo con il mio collega Wawashi, decidemmo di dar vita a una serie ben precisa di flyer. Diciotto settimane esatte. Un formato vistosissimo (la metà in verticale di un A3). Su cartoncino. Sul fronte un immagine di un luogo con davanti, sempre in primo piano, poggiata una borsa di dischi dell’Adidas. Tentammo anche di farci dare dei soldi da quell’azienda, ma ci risero appresso. Sul retro tutte le informazioni dell’evento da pubblicizzare. Ovviamente il nome dei deejay era scritto più in grande. E tra le lettere dei loro nomi evidenziavamo una lettera in rosso su ogni flyer. Dovevamo così comporre una scritta. Vi lascio immaginare gli equivoci durante il booking internazionale di artisti, che accettavamo o rifiutavamo a seconda se avevano o meno una certa lettera nel nome. Fu un periodo esilarante e di grande coerenza grafica.

So bene che era per pochi adepti, per giunta in questo caso anche collezionisti (ci volevano diciotto settimane per comporre la scritta). Ma chi ha tenuto duro l’ha vinta, la scritta: CAFFARRADORASATANA. Non ditelo troppo in giro.

pubblicato sul numero 0 della Falla – dicembre 2014

immagine realizzata da Vincenzo Palombino del collettivo artistico Gli Infanti