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Per vent’anni Porta Saragozza è stata la sede del movimento LGBT+ bolognese. E questo fatto ha esposto il monumento a diverse azioni dimostrative. A volte ironiche, altre omofobe e altre ancora bigotte. Un edificio che al pari delle persone omosessuali è stato evitato, sbeffeggiato e aggredito.

Citerò in questo breve spazio alcuni momenti salienti che meritano di essere ricordati. Innanzitutto la deviazione del percorso della processione della Madonna di San Luca, che dal nostro arrivo nella porta iniziò ogni anno a entrare in città passando per il parcheggio adiacente e non più transitando sotto l’arco che reca la targa con la dicitura che “i bolognesi vollero ad ella dedicata”. Ma di questa vicenda se ne è parlato molte volte e non è quindi a rischio di oblio.

Altri momenti, meno noti, hanno destato la nostra preoccupazione. L’azione da parte di ignoti avvenuta intorno alla metà degli anni ’90 fu quella più invasiva. Di notte fu eretto un muro di calce e mattoni davanti all’ingresso e vi fu lasciato sopra un cartello con scritto “Aperti Dietro”. Un grande sforzo fisico per una miserabile battuta di spirito, che riuscì a far sorridere al massimo qualche umarel che leggeva la notizia sul Carlino al bar. Di quel momento ricordo la fatica dell’abbattimento del muro e l’imbarazzo nel gestire la vicenda con polizia e giornali.

Tra queste azioni contro la porta annovererei anche quella che non vide il pregiudizio come movente, ma fu un assurdo momento di gestione degli imprevisti. In una freddissima notte invernale si chiacchierava in pochi nel circolo. Iniziammo a sentire puzza di bruciato e ci accorgemmo che dalle finestre del piano terra stavano divampando delle fiamme. Accorsi a spegnere l’incendio, ci accorgemmo che i piromani erano rimasti lì impalati a guardare l’azione. Era un gruppetto di stranieri che giustificò quel gesto assurdo dicendoci che avevano freddo.

Ma l’avvenimento più buffo ce lo regalarono i goliardi. Un giorno ci chiamarono per avvisarci che avrebbero inscenato una presa del Cassero da parte della Chiesa. Trovammo la cosa bizzarra e la lasciammo accadere, tra l’altro in un orario impossibile, tipo alle nove del mattino. Momento in cui al Cassero era presente solo l’obiettore di coscienza. Decidemmo di non avvisarlo di questa iniziativa.  L’obiettore fu soprannominato dall’inizio del suo servizio civile al Cassero l’Abbietta Obiettrice. Molti se la ricorderanno. Per gli altri sia sufficiente sapere che aveva (e ha) doti canore da soprano. Quella mattina, come annunciato, arrivò un folto gruppo di goliardi rigorosamente vestiti da preti e iniziarono a scalare Porta Saragozza con delle lunghissime scale. L’ufficio dove l’obiettore svolgeva il suo servizio aveva una porta a vetri che guardava sulla terrazza. A un certo punto l’Abbietta iniziò a vedere dei preti che salivano dai merli della porta. Sbigottita, terrorizzata e incredula iniziò a chiamarci al telefono urlando. E forse fu l’unica spettatrice di quell’azione che oggi avremmo chiamato Flash Mob.

pubblicato sul numero 7 della Falla – luglio/agosto/settembre 2015