LA MIGRAZIONE E LO SPAZIO DELL’ALTRO

Negli ultimi mesi, le retoriche dell’invasione e della mancanza di sicurezza si sono fatte più violente e martellanti, occupando sempre più spazio nei mass media. Sul piano politico, partiti e movimenti progressisti (o presunti tali), anziché proporre discorsi e azioni di segno diverso, sembrano rincorrere quelli estremisti e xenofobi sul loro stesso terreno. Di conseguenza, anche nelle conversazioni da bar, si sente spesso parlare di un’Italia minacciata dall’arrivo di “profughi”, “extracomunitari” e “clandestini”, termini usati un po’ a caso, come se fossero intercambiabili. Etichette intrise di odio, che dividono gli esseri umani attraverso confini reali o immaginari, categorie che parlano di persone non gradite, spesso ritratte come potenziali terroristi, criminali o responsabili del degrado urbano.

Ma perché parlarne in questo giornale? Per un motivo molto semplice. La maggiore presenza e visibilità di persone migranti viene sempre più utilizzata per alimentare ansie e paure anche tra le persone LGBT+. Alcuni ci raccontano di quanto l’aumento dei migranti potrebbe mettere in discussione una serie di diritti faticosamente acquisiti, tra cui la parità di genere e le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Viene ribadita una presunta contrapposizione tra “noi” e “loro”, dove “noi” diviene sinonimo di “civili e progrediti” mentre “loro” fa rima con “omofobi da sempre e per sempre”. Ma chi siamo “noi” e chi sono “loro”? Ha davvero senso questa contrapposizione? Probabilmente no, visto che tra “noi” l’omobitransfobia è estremamente diffusa, mentre tra “loro” vi sono anche persone aperte e progressiste, di cui però non si parla quasi mai. Infine, ci sono quelli che fanno saltare in aria le contrapposizioni di carta: migranti, musulmani/e, persone tutte e tutti LGBT+ dal background migratorio, tanto per fare qualche esempio. Ecco dunque che il quadro appare già più complicato.

In seguito alle prime ricerche su migranti e richiedenti asilo LGBT+ residenti in Italia e in Europa (Immigrazioni e omosessualità; Fleeing homophobia), dal 2009/2010 sono sorti anche in Italia una serie di gruppi di supporto che tentano di dare spazi di ascolto, visibilità e inclusione a chi può vivere discriminazioni multiple per il fatto di essere al tempo stesso migranti e persone non aderenti a dettami eteronormativi. Dal 2012 in alcuni Pride, tra cui quelli di Bologna e Milano, hanno iniziato a partecipare piccoli gruppi di migranti LGBT+ in forma più o meno organizzata e spontanea, in modo simile a quanto accadeva già in altri Paesi europei. A questi tentativi iniziali, spesso caduti nella quasi totale indifferenza di associazioni, istituzioni e mass media, sono seguiti nel corso di pochi anni la nascita di siti di informazione specializzata (per esempio Il Grande Colibrì), mobilitazioni internazionali di sostegno ad associazioni di promozione dei diritti civili in altre parti del mondo (Shams) e campagne per una visione plurale dell’Islam autoprodotte in Italia (Allah Loves Equality).

Si può dire dunque che, nell’arco di pochi anni, la situazione sia molto cambiata, segno dell’evoluzione dei tempi. Restano tuttavia aperte una serie di questioni fondamentali, che emergono soprattutto se andiamo a vedere cosa hanno da dire gli studi socio-antropologici su questi temi. Il tema delle persone migranti tocca da vicino il lavoro di movimenti ed associazioni, a cui viene chiesto di prendere posizione, di interrogare le proprie pratiche e di riflettere su quanto certi contesti e certi discorsi parlino più a italiani che a migranti. L’assenza o la scarsa visibilità di migranti negli spazi aggregativi di gay, lesbiche e trans è spesso letta in termini di omofobia interiorizzata o di scarsa informazione e comunicazione; qualcosa che comunque ha principalmente a che fare con qualche “loro” retaggio culturale e molto poco con “nostre” incapacità. Raramente, invece, ci si interroga sul razzismo esplicito o implicito che continua a essere vissuto in tali contesti, tanto quelli reali quanto quelli virtuali, oppure su quanto poco spazio venga dato a persone migranti Lgbt+  in occasioni pubbliche o nell’attribuzione di ruoli e incarichi di responsabilità all’interno di associazioni e istituzioni.

Il rischio è quello creare un’inclusione differenziale di questi soggetti, favorendo la partecipazione di alcuni e l’esclusione di altri. Ecco quindi che tendiamo loro una mano, ma a una condizione: diventare come noi, lottare con noi, usare le nostre parole, condividere le nostre azioni. Dietro si nasconde la richiesta di una scelta di campo: o con noi o contro di noi, o con noi o con le loro comunità connazionali. Viene visto con sospetto chi propone modi di essere diversi da quelli della maggioranza, chi aderisce in modo selettivo alle lotte per i diritti, chi mette in discussione alcuni linguaggi e azioni. Il rischio è dunque quello di tornare a quella contrapposizione tra “noi” e “loro” che si era cominciato a superare, come un brutto guaio che esce dalla porta, per poi rientrare, in forme nuove, dalla finestra.

pubblicato sul numero 27 della Falla – luglio/agosto/settembre 2017