Un po’ il Carrie di De Palma e un po’ qualcosa di completamente diverso. Thelma, quarto lungometraggio del regista norvegese Joachim Trier, proiettato ieri sera alla decima edizione del festival di cinema lesbico Some Prefer Cake, di similitudini con l’adattamento depalmiano del libro di King ne ha molte, eppure riesce a essere un qualcosa che gode di vita propria.
Similitudini e differenze che si possono riscontrare soprattutto nella storia della protagonista, Thelma, una ragazza cresciuta in una famiglia cristiana e osservante nel mezzo del nulla della campagna norvegese e che, con l’inizio dell’università, si ritrova alla ricerca di una sua identità e della sua indipendenza tra le vie di Oslo.
È difficile riuscire a dare una connotazione, positiva o negativa che sia, al personaggio di Thelma. Nella pellicola si ritrova in una immensa zona grigia, precaria e complessa: esattamente come il lago ghiacciato che appare all’inizio del film e che farà da cornice ad almeno altri due momenti cruciali (e crudeli) nella storia della protagonista.
Un discorso analogo vale per i genitori, irreprensibili credenti, almeno in apparenza, e maniaci del controllo per ogni aspetto della vita di Thelma.
Thelma è una giovane donna che sembra essere stata resa insicura dai genitori: non riesce a fare vita sociale, non beve, non fuma. Cerca una scossa che arriverà – letteralmente (ma niente spoiler) – poco prima di aver conosciuto Anja.
L’attrazione per Anja sarà il punto di rottura per Thelma che scoprirà giorno dopo giorno che nella sua vita tra malattia mentale e poteri paranormali c’è una linea veramente molto sottile. Poteri che, tuttavia, al contrario del Carrie di De Palma, restano taciuti per quasi tutta la pellicola, collocati proprio in quella linea di confine tra allucinazione e realtà, tra sogno irrazionale e reale potere di controllare gli eventi col pensiero.
Un desiderio strisciante come il serpente del giardino dell’Eden, la tentazione di cedere ai piaceri e il cristianissimo timore di lasciarsi andare a essi, la paura della malattia mentale e la consapevolezza, amara, pesantissima, di essere (stata) artefice – sulla volontarietà o meno viene lasciata la porta aperta – di un atroce delitto.
Un thriller paranormale, dunque, privo di spettacolarizzazioni, di effetti speciali e di gore: la violenza non ha bisogno di essere sempre rappresentata visualmente per colpire nello stomaco. A volte è fatta di lunghi silenzi, di gesti nascosti; altre volte di soffitti che crollano, di acque che ti inghiottono o di fiamme che ti divorano.
A chi spetti la redenzione tra Thelma e i suoi genitori – sebbene il regista abbia le idee chiare – lo lasciamo invece alla vostra libera interpretazione.
Perseguitaci