C’è una domanda che non ti hanno mai fatto in tutti questi anni?
Sì: certo non mi aspettavo l’attribuzione del Nettuno d’Oro da parte del sindaco di Bologna Virginio Merola. Se qualcuno mi avesse chiesto se mi sarei aspettato questo riconoscimento, avrei risposto che mi sembrava improbabile. Ma per come è avvenuta la cerimonia devo dire che è stato un momento emozionante perché c’era moltissima gente, erano presenti 4 generazioni di militanti, e la massima onorificenza cittadina in realtà è andata a tutti coloro che sono stati protagonisti di 40 anni di lotte LGBT+ che hanno cambiato profondamente il paesaggio culturale del nostro Paese, secondo me in modo irreversibile. È stata quindi una giornata di gioia collettiva, di condivisione del riconoscimento comunale, che mi ha permesso di salutare nel mio intervento tutti i protagonisti principali delle lotte pluridecennali a partire dall’inaugurazione del Cassero, una data confine tra il vecchio e il nuovo, una data di ripartenza per tutto il movimento.
Cosa pensi dell’ultimo congresso Arcigay e dei contrasti tra persone e circoli avvenuti in quel contesto?
Eravamo al 16° congresso e ho pensato che nei miei lunghi anni tra segretario nazionale e presidente ne ho organizzati ben 7, per lo più ogni due anni per favorire il dibattito. Non ho quindi condiviso l’allungamento a 4 anni tra un congresso e l’altro, non ne ho capito la ratio e mi sembra che in questo modo si corra il rischio di cristallizzare un’associazione e il suo dibattito interno. Secondo me ci sono aspetti molto positivi dell’Arcigay di oggi, e aspetti negativi del congresso. La parte positiva è l’esistenza e il radicamento nel territorio dei circoli che ormai sono spesso di grande forza locale e di forte capacità organizzativa. Ne sono prova i numerosi Pride che si sono tenuti quest’anno, e le decine di migliaia di presenze in piazze a volte anche molto periferiche. Ciò significa che l’Arcigay si trasformerà sempre di più in una federazione di circoli e sarebbe stato meglio adeguare struttura e nomi nazionali a questa tendenza che mi pare molto netta. Sulla dinamica interna del congresso non posso che essere d’accordo con gli amici e le amiche del Cassero, perché c’è stato un certo atteggiamento di sufficienza nei confronti del circolo stesso che finora è stato la spina dorsale dell’intera associazione. Spero che la nuova dirigenza sia in grado di recuperare un corretto rapporto con il Cassero di Bologna, riconoscendogli il giusto ruolo nella vita interna ed esterna dell’associazione stessa.
C’è qualcosa di cui il movimento LGBT+ deve rimproverarsi?
Sì parecchio, ma non con dolo, ovvero non ci sono colpe gravi ma mancanze dovute alla cronica scarsità di risorse che caratterizza i gruppi LGBT+ italiani, in parte anche per colpa nostra. Nella mia esperienza ho trovato spesso dei muri ideologici sul “denaro sterco del demonio”, ma gestire i Pride, implementare i servizi alla persone e pagare le normali spese di gestione dei circoli implica finanziamenti che altri, con abilità molto maggiore di noi, sono riusciti ad avere, mentre noi per lo più abbiamo avuto le briciole. Il vero problema che abbiamo avuto nella nostra storia è stata la difficoltà di fare assistenza diretta alla persona, problema sempre più sentito nell’epoca dell’invecchiamento della popolazione LGBT+ assieme all’invecchiamento del resto della popolazione. Si parla di case di riposo per persone LGBT+, di cohousing, di interventi sulle nuove povertà, come meritoriamente ha fatto il Cassero, inserendo una voce specifica nel proprio bilancio. Per non parlare dei centri di accoglienza per persone cacciate di casa o che hanno perso l’abitazione per condizioni di indigenza personale. Una grande sfida. Rimane ovviamente per intero la questione legislativa, dalla legge contro l’omofobia (appena approvata in Svizzera) al matrimonio egualitario.
Cosa pensi delle ultime polemiche con ArciLesbica nazionale?
È un dibattito che mi ha lasciato stupefatto, perché l’ho trovato improvviso (forse perché ero in ospedale e mi ero perso l’avvio di questa nuova stazione politico-culturale di ArciLesbica). Sono posizioni che confliggono con le mie convinzioni libertarie note fin dagli anni ’70 in materia di sessualità, prostituzione, riproduzione. Personalmente ho sempre sostenuto che ogni essere umano deve esercitare nel corso della propria vita una completa signoria sul proprio corpo, deve cioè essere padrone della propria vita dalla nascita alla morte. La piattaforma di ArciLesbica prevede la Gpa (gestazione per altri, ndr) come reato universale, la criminalizzazione della prostituzione, anche di quella liberamente scelta, il contrasto all’assistenza sessuale alle persone con disabilità, l’idea che una donna trans non sia donna perché non lo è biologicamente. Negli anni ’70 il movimento femminista contestava il destino biologico della donna così come disegnato dal maschilismo: madre per obbligo, serva domestica nel matrimonio eterosessuale. Ora siamo di fronte a un neo-biologismo che piace molto alla destra. L’insieme di queste posizioni mi sembra piuttosto reazionario, non a caso sono state celebrate da Avvenire, il giornale dei vescovi. Ognuno è libero di scegliere le priorità del proprio movimento, ma se si sceglie una linea destrorsa si abbia il coraggio di dirlo e di rivendicarlo.
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