Mi pare che sulla questione controversa e complessa della gestazione per altri si stia arrivando, in Italia, ad una posizione che accomuna molte: niente divieti penali – in Italia già esistono, ma le conseguenze perverse che producono sono del tutto evidenti e mi pare assai difficile, nonché non auspicabile, arrivare ad una sorta di divieto universale – ma una legge che riconosca il “diritto prevalente” della madre di gestazione (vedi per esempio l’ultimo numero di Legendaria, con articoli di Botti, Serughetti, Zuffa, e vedi anche Danna su La Falla di dicembre). Per quanto dunque molto sia cambiato dai tempi del dibattito suscitato dal famoso caso di Baby M – soprattutto l’estendersi del ricorso a questa pratica e il mercato che si è creato attorno ad essa — le conclusioni cui arrivavo nel 1995 (Libertà femminile e nuove tecnologie riproduttive, in “Sociologia del diritto”, n. 2) mi sembrano ancora valide, e condivise da molte. 

Il diritto prevalente della madre di gestazione, sancito per legge, renderebbe la madre di gestazione stessa assai meno vulnerabile e ricattabile e forse scoraggerebbe alcun@ dal ricorso a questa pratica. Inoltre, contribuirebbe a rendere visibile e a legittimare, simbolicamente e legalmente, un’asimmetria “naturale”: le donne, per riprodursi, se fertili, hanno bisogno solo di una goccia di sperma, gli uomini di una relazione (affettiva o commerciale) con una o più donne. Come si sa, la gestazione per altri ben poco ha a che fare con le tecniche di riproduzione assistita: con modalità e motivazioni le più diverse la ritroviamo un po’ ovunque nel mondo, e nella storia. Senza scomodare la Bibbia e per stare ad anni non lontani, ricordiamo le polemiche sul caso di Serena Cruz, nata nel 1986 a Manila e riconosciuta come propria da un italiano, portata in Italia e poi tolta ai genitori sociali dal tribunale per i minorenni. Ma casi simili, lo ha ricordato anche Danna su queste pagine, sono frequenti, giacché la normativa italiana permette alla partoriente di non riconoscere il figlio, che, se riconosciuto dal padre biologico, sarà a lui affidato.

La novità (relativa) sta semmai nella separabilità tra maternità genetica e maternità di gestazione, con il moltiplicarsi dunque delle figure implicate nella riproduzione. Questa novità, tuttavia, se agevola e incrementa il mercato, non riduce affatto la centralità del o dei soggetti femminili. Tra l’altro, come giustamente rileva Botti nell’articolo citato, l’attuale enfasi sulla madre di gestazione mette tra parentesi il contributo decisivo della madre genetica: il fiorente mercato degli ovuli non è equiparabile al mercato degli spermatozoi per le semplici, ma trascurate, ragioni che l’iperstimolazione ovarica necessaria ad ottenere gli ovociti può mettere a rischio la salute delle donne che li vendono, e che comunque per ottenerli bisogna sottoporsi ad una vera e propria operazione chirurgica. Di nuovo, il primato “naturale” delle donne nella riproduzione deve essere finalmente riconosciuto e debitamente legittimato.

Come dovrebbe essere regolato per legge il diritto prevalente della madre di gestazione è naturalmente un problema. Nella riflessione del 1995, tenevo conto del fatto che i tribunali che discutevano del caso Baby M ritenevano perlopiù invalidi i contratti, decidendo invece sulla base del miglior interesse del minore. E contestavo sia la posizione di Pateman (critica radicale sia del contrattualismo classico, sia dei modelli contrattualistici contemporanei) che quella di Shalev (secondo cui, al contrario, l’estensione del contratto all the way down, dunque anche al corpo e alle sue parti, sarebbe liberatrice, in specie per le donne), proponendo, appunto, che fosse la madre di gestazione ad avere, come un tempo si diceva a proposito dell’aborto, la prima parola e l’ultima. Lo penso ancora, ma non ho una soluzione giuridica pronta. Tra l’altro, la possibilità di un qualche tipo di rapporto tra questa madre (se lo vuole) e il/la bambin@ sarebbe probabilmente un bene anche per quest’ultim@: i casi di ricerca delle proprie origini biologiche sono frequenti tra gli e le adottate, e il legame con la madre di gestazione non è, da questo punto di vista, meno forte della genetica.

Nel nostro paese, tuttavia, una cosa certamente urgente da fare sarebbe rivedere la legge sulle adozioni, estendendo la possibilità di adottare anche ai singoli e alle singole, nonché, ovviamente, alle coppie dello stesso sesso. La normativa attuale, nel prevedere l’adozione soltanto da parte di una coppia eterosessuale sposata (salvo i casi particolari regolati dalla cosiddetta adozione speciale), propone un modello di relazioni genitoriali “tradizionale” (naturalmente “nel miglior interesse del bambino”), in cui risalta non solo l’eteronormatività, ma la legittimazione simbolica del primato del paterno. Si dice infatti in questa legge, e si ribadisce nella legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita la quale vieta l’accesso alle tecniche alle singole, che il “padre” (biologico e/o sociale) è figura necessaria e indispensabile: senza un padre non si dovrebbe nascere, senza un padre non vi è garanzia di benessere psicologico e sociale. Insomma, a fronte di una recente libertà femminile di decidere se, quando e con chi procreare, e in un momento storico in cui è caduta la stigmatizzazione della maternità singola, si vuole ribadire che è invece pericoloso nascere senza padre: si conferma così quel rovesciamento dell’asimmetria naturale dei due sessi nella procreazione che è stato e continua ad essere uno dei maggiori ostacoli alla libertà femminile.

Se è la libertà femminile che ci (mi) sta a cuore, allora la gpa (la quale allarga la possibilità di aver figli anche alle donne che, magari fertili, non possono portare avanti una gravidanza –  cosa che, come si è detto, è già possibile per gli uomini) non può essere vietata. Ma regolamentata sì, a salvaguardia delle donne che accettano di far figl@ per altr@, la cui libertà è altrettanto importante e decisiva di quella delle donne che di questa pratica hanno bisogno. E il principio cardine di questa regolamentazione, a mio parere, è la centralità della o delle figure femminili nel processo riproduttivo.

pubblicato sul numero 14 della Falla – aprile 2016