Il problema non è il capo del branco. E neanche il branco, i quattro-cinque servi sciocchi che eseguono ogni ordine senza pensare, senza fiatare. Loro non li convinci, non li (ri)educhi. Inutile il dialogo, inutile sprecare tempo fatica energie a parlarci. Anche se hanno solo undici anni, o tredici, o sedici(dopo sono uomini, si apre un altro capitolo, un altro discorso).

Si possono solo isolare. Si può e si deve impedire che facciano del male. Certo. Magari senza prendere alla lettera la Bibbia, però… quasi quasi: “In seguito, Eliseo andò da Gerico a Betel. Mentre camminava, alcuni ragazzi uscirono dalla città e cominciarono a prenderlo in giro gridando: ‘Va’ via, va’ via, testa pelata!’. Eliseo si voltò, li vide e li maledisse nel nome del Signore. Allora uscirono dal bosco due orse e sbranarono quarantadue di quei ragazzi”. Ammetto. Qualche volta (più di una volta) sono stato tentato da questo passo del Secondo Libro dei Re, nell’Antico Testamento.

Allora che fare? Con chi sensatamente parlare, su chi “lavorare”? Con tutti gli altri. Con i dieci, cento, mille che non bullizzano ma nemmeno contrastano. Che vedono ma non sanno cosa fare o non ci riescono o pensano proprio di non dover o poter fare niente o sono anche d’accordo ma per ignoranza, indifferenza, perché nessuno, appunto, si è preso la briga di educarli, dialogare con loro.

Loro, la stragrande maggioranza, il conformismo imbelle e cieco che da sempre è la vera forza (una volta si parlava di “maggioranza silenziosa”, è ora di tornare a farlo) dei fascismi, dei razzismi, delle dittature, delle esclusioni, del Male. Fino a che il vento non cambia e allora diventano inconsapevolmente democratici e accoglienti come erano stati inconsapevolmente (in qualche modo) conniventi prima con le più feroci violenze. O dopo. Che è la stessa cosa.

Insomma, dove si deve combattere e si può vincere è la sterminata platea del conformismo, non la piccola minoranza che il Male – misteriosamente – ce l’ha nel sangue. Inestirpabile.

Nessuno lo ha detto meglio di Pier Paolo Pasolini, nella Lettera a Gennariello (un quindicenne d’invenzione), del 15 giugno 1975, pochi mesi prima di essere massacrato sul Lido di Ostia. Avrò trascritto questa citazione un milione di volte e continuerò a farlo fino alla morte: “I tuoi coetanei hanno in mano un’arma potentissima: l’intimidazione e il ricatto. Cosa, questa, antica come il mondo. Il conformismo degli adulti è tra i ragazzi già maturo, feroce, completo. Essi sanno raffinatamente come far soffrire i loro coetanei: e lo fanno molto meglio degli adulti perché la loro volontà di far soffrire è gratuita: è una violenza allo stato puro. La loro pressione pedagogica su te non conosce né persuasione, né comprensione, né alcuna forma di pietà, o di umanità”.

Poi gli adulti. Genitori, insegnanti, educatori. Con loro c’è un mucchio di lavoro da fare perché – dio solo sa come sia ancora possibile – non capiscono un cazzo. Pensano ancora al bambino innocente, “angelicato”, che nasce buono.

Sant’Agostino (e dico Sant’Agostino, che arriva persino alla derisione, doveva già essere incazzato almeno quanto me): “Codesta dunque l’innocenza infantile? No, Signore, no, mio Dio, essa non esiste” (Le confessioni).

Così come ci prende per il culo (ma siamo troppo stupidi per capirlo) Mark Twain: “Egli credeva nei ragazzini buoni dei libri della scuola domenicale, aveva in loro la massima fiducia. Desiderava tanto poterne incontrare uno vero, qualche volta; ma non gli capitava mai. Forse erano già tutti morti anni e anni prima» (Storia del ragazzino buono).

E la natura non è buona. Forse non è neanche cattiva, certo buona no, la natura è il pesce grande che mangia il pesce piccolo. È l’odore del sangue che amplifica e rende incontrollabile la violenza. Gli adulti, che non capiscono e non ricordano quale dolore si consumi sotto i loro occhi.

E pensano – dio li perdoni – che pari età significhi pari potere. Quando sanno, dovrebbero sapere, ricordare che è vero esattamente il contrario. Nell’infanzia e nell’adolescenza, pari età è disparità massima di potere psicologico sui coetanei. Perché i bambini e i ragazzi – da che mondo è mondo – diventano adulti contrapponendosi agli adulti e con una fame disperata di approvazione e consenso da parte dei coetanei. Non c’è un altro modo per crescere. Ma se è così, dagli adulti sono naturalmente protetti, mentre rispetto ai coetanei sono totalmente indifesi. Una parola di disapprovazione può devastare la loro vita per sempre. Gli adulti passano, guardano, non vedono, non capiscono.

Non capiscono e questo mette i bambini e i ragazzi in una posizione non solo di pericolo, ma di assoluta solitudine: non possono parlare con loro, gli adulti, perché non capiscono e perché è umiliante per un bambino e per un ragazzo (hanno già assorbito l’ideologia del pari età-pari potere) ammettere che un coetaneo abbia tanto potere su di lui. Non possono parlare con i coetanei, perché sono gli aguzzini, o gli indifferenti e per quell’umiliazione di cui sopra.

Difficile dire cosa gli adulti capiscano meno, e cosa sia più grave in questa cecità colpevole e incredibile. Forse la qualità del dolore che passa nel “gruppo dei pari” durante l’infanzia e l’adolescenza.

Il dolore che – anche per una apparente bambinata – un bambino o un ragazzo può infliggere a un coetaneo è – volete capirlo? – il dolore più grande che si possa provare in tutta la vita. Superabile o no, rimane senza eguali, che lascia segni senza confronti possibili.

Senza intendere questo, inutile fare corsi e programmi contro il bullismo. State pure a casa, che è meglio. E non voglio parlare qui di chi confonde bullismo – violenza psicologica continuata contro la stessa vittima, che può arrivare anche a qualcosa di fisico ma rimane essenzialmente psicologica – con criminalità minorile o baby gang – violenza essenzialmente fisica, criminalità non bullismo, anche se commessa a sedici anni, e che solo come conseguenza secondaria ha aspetti psicologici.

Stephen Spender, non l’ultimo cretino: “La profonda slealtà dell’infanzia infettava tutto il luogo, come in uno stato fascista in cui uno scopre che ogni vicino è – magari senza esserne lui stesso consapevole – un agente che lavora per la polizia” (Un mondo nel mondo).

Jean-Paul Sartre, non l’ultimo degli imbecilli, e certo non un adulto sfigato, no? nell’autobiografia Le parole: “Sulle terrazze del Lussemburgo dei bambini giocavano, io mi avvicinavo a essi, mi sfioravano senza udirmi. Una parola del capo della banda, detta brutalmente: ‘Vieni avanti, Pardaillan, tu farai il prigioniero’, e avrei rinunciato ai miei privilegi. M’avrebbe fatto felice anche una parte muta; avrei accettato con entusiasmo di far la parte di un ferito sulla barella, di un morto. Avevo incontrato i miei veri giudici, i miei pari, e la loro indifferenza mi condannava”.

Quasi le stesse parole di Pasolini. I “giudici”, i veri educatori dei bambini e dei ragazzi sono i coetanei, non gli adulti. E il tema dell’indifferenza come la condanna per eccellenza (scusate la rima).

E ora, arrivati fin qui – se ci siete arrivati – fate voi 2+2. Maledizione.

pubblicato sul numero 38 della Falla – ottobre 2018