di Mizia

Quando il tuo immaginario può legittimare la mia tanta amicizia per te. Ma non di più.

Rappresentazione dell’immaginario e rivendicazione del sé. Brutta storia quando i piani si incrociano. Forma e sostanza ma in fondo siamo tanto più autentiche quanto più somigliamo all’idea che abbiamo sognato di noi stesse. O no?

Sarà, ma ogni volta che sento parlare di icone gay (e le altre?) mi viene il geggiùbambino storto. Forse perché io non sono G e di mio fatico a riconoscermi nel paradigma iconografico che la comunità LGBT+, mediamente, esporta: funzionale a logiche di mercato e assopito in un’estetica mainstream che non fa male a nessuno, nemmeno ad Alfano, con quel quid di appeal che non stona mai.

Ovvio, i gusti sono personali e insindacabili, come ciò che eleggiamo a nostra rappresentanza. Emotivamente ci deve stare tutto ma politicamente (?) invece, non mi trovo: “conosco le abitudini so i prezzi e non voglio comperare né essere comprato”. Continuo a restare fuori da certe mode e a sentirmi a mio agio “straniero nella mia nazione”. E si sa, i suoni sghembi non sono influencer ma, almeno per noi T*, dicono spesso molto di più.

Gli anni erano quelli: radio-tv e tutto sotto controllo. Le mie prime domande su chi fossi incrociavano curiosamente il moog strano prima di Walter in Arancia meccanica e poi di Wendy ad atterrire in Shining. Bella lei! E i miei primi make-up con i trucchi di mia mamma che risuonavano di Do the Strand, persa tra Amanda e Brian, bellissimo.

Metterci la faccia, che per te era come il culo, marginale e bannata nel tuo paese ma icona per bei tipini come Andy, David, Lou, Patti. Nonostante gli ormoni e il nome, Jayne, spesso hai sofferto il fatto che il tuo parente stretto Wayne non ti avesse mai mollato del tutto e hai voglia a offrirti esplicitamente “se non vuoi scoparmi, fottiti”. Il rock e il blues lasciano segni. Però ti hanno riconosciuto come prima rocker transgender. Come dici? Fuck?

Chi niente, chi troppo e tu, Nomi, non hai segni (la mastoplastica, dettagli), li lasci. Moda, Nu-disco, glamour, endorsement pesanti. Poca voce ma Pro Tools e un po’ di expander sistemano tutto. Non sei l’unica. Al concerto ci siamo guardate spesso. Nessuna barriera, solo il dislivello del palco e gli stage monitor tra di noi. Non eravamo Blind ed è bastato il primo sguardo a capirci. Perché questo è l’arcano: nessuna delega, siamo e rappresentiamo noi stesse. Capostipite di una musica T* magari no, ma una fanbase che spesso si rivede in te, friendly e traversale sì. Non sei tu il mio modello e poi ho sempre avuto il santino di Jimi in tasca, comunque sei un riferimento vissuto da molt*. Tuo malgrado.

Laura Jane è invece senza mezzi termini. Dopo la transizione, stesse chitarre, giusto la chioma rossa fluente e la voce strana come la tua, un disco pesante come il titolo e suoni sghembi che in un anno l’hanno portata da Lettermann a Reading 2015, passando anche per Miley. L’ha detto chiaro “non voglio essere un’icona transgender, non voglio questa responsabilità”. Noi siamo le icone di noi stess*. La terra di mezzo, il prefisso T* possono essere rappresentati solo da chi lo è. Non abbiamo bisogno di altri.

Dei molti Alfani che hanno tanti amici ghei e tutti insieme vanno a vedere la Madonna e fanno trenino YMCA ma i diritti te li fotti, onestamente, “m’importa ‘na sega”, perché “voglio ciò che mi spetta, lo voglio perché mio, m’aspetta”.

E scusate, noi True Trans Soul Rebel, non ci disegnano. Siamo proprio così.

Suoni sghembi

Against Me! – True trans soul rebel

Against Me! – FUCKMYLIFE666

C.S.I. – Forma e sostanza

C.S.I. – Mimporta ‘nasega

Sangue Misto – Lo straniero

Walter Carlos – Arancia meccanica (O.S.T.)

Wendy Carlos – Shining (O.S.T.)

Roxy Music – Do the strand

Jayne County & The Electric Chairs – If you don’t wanna fuck me baby, fuck off!

Hercules and Love Affair – Blind

Village People – YMCA

Madonna – Frozen

pubblicato sul numero 11 della Falla – gennaio 2016

illustrazione realizzata da Bruma e Miele