“Quando non sarai più l’ebrea Schragenheim, ma solo un essere umano tra altri esseri umani, leggerai questo diario. Dio onnipotente, salvaci entrambe oppure facci morire insieme. Non lasciare in vita solo una di noi. Non resisterò al pensiero di non rivedere mai più la mia Felice. Non per una vita intera.”
Questo scriveva sul suo diario la casalinga tedesca Elizabeth Wust il 26 agosto 1944. La sua amata, Felice, era stata arrestata pochi giorni prima, il 21 agosto, di ritorno da una giornata passata insieme al fiume. L’accusa non riguardava il suo lesbismo, peraltro non previsto ufficialmente dal famigerato Paragrafo 175, l’articolo del codice penale tedesco che puniva l’omosessualità maschile. Era “semplicemente” un’ebrea clandestina, una ventiduenne che, con coraggio, spregiudicatezza e lievità, non era fuggita dalla città, né dal Paese.
Omnia vincit amor, l’amore sconfigge ogni ostacolo: un’illusione. Loro non si sono mai riviste, Felice è morta, imprigionata in un campo di concentramento, probabilmente Bergen-Belsen, nel marzo 1945, Lilly ha vissuto una vita difficile.
E di questo bisogna ringraziarla: la loro storia come coppia, quella di ciascuna di loro come singola, contribuisce alla continua riscrittura della Memoria alla luce delle vicende delle persone comuni, che si intrecciano al racconto dei grandi avvenimenti storici. E arricchisce la storia lesbica, di cui, ancora oggi, si sa ben poco.
Felice Schragenheim, nata nel 1922, figlia della piccola borghesia ebraica, va a scuola finché le leggi razziali glielo consentono. Scrive da sempre, poesie ma anche altro, ed è interessata alla fotografia. Sua sorella Irene e la sua matrigna sono riuscite a espatriare, lei no, una volta a causa del blocco dei visti per gli Stati Uniti, le altre perché non se ne vuole andare davvero.
Nell’autunno del 1942 entra in clandestinità e vive a casa dell’amica (e in quel momento anche sua ragazza) Inge Wolf, che sta svolgendo il suo anno di servizio obbligatorio in economia domestica a casa di Elizabeth Wust. La donna, a 29 anni ha già 4 figli ed è stata decorata con la mutterkreuz, è moglie del funzionario nazista Günther, che la tradisce con regolarità, ricambiato dalla consorte.
Nella primavera del 1944 Felice riesce a farsi assumere come stenodattilografa al National-Zeitung, organo del partito nazional-socialista, per acquisire informazioni utili alla vita da clandestina. Molto probabilmente collabora anche con la Resistenza, anche se non c’è documentazione a provarlo.
Dopo l’arresto di Felice, Lily riesce ad andarla a trovare prima nel centro di raccolta a Berlino, poi a Theresienstadt, dove Felice è stata deportata, anche se qui non riesce a incontrarla, nonostante la sua determinazione. Il 26 dicembre 1944 Felice le scrive un’ultima lettera. Poi il silenzio. Lily attende e spera, purtroppo invano.
Nel 1981, grazie all’iniziativa del figlio Bernd, Lily riceve la Croce al merito della Repubblica federale tedesca, conferita a quelli che, durante il nazismo, aiutarono i perseguitati.
La giornalista Erica Fischer, figlia di ebrei viennesi espatriati a Londra durante le persecuzioni, decide di raccontare la storia di Aimée e Jaguar con un libro che esce nel 1994. Un successo travolgente, a cui sono seguiti la traduzione in 14 lingue, altri libri, un documentario, un film. Lilly comincia a ricevere lettere da donne lesbiche in the closet di tutto il Paese che si identificano con lei, e si sente, negli ultimi anni della sua vita, un po’ meno sola. È morta nel 2006, a 92 anni.
pubblicato sul numero 11 della Falla – gennaio 2016
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