UNA VIOLENZA MASCHERATA DALLA VERGOGNA
Una diciottenne giace accovacciata in lacrime, sulla strada, una mattina del giugno 2016, a Pamplona. La sera prima è stata approcciata da cinque uomini, condotta in un condominio, spogliata, stuprata, filmata e abbandonata. È paralizzata dal terrore.
La bestia alfa, un poliziotto della Guardia Civil spagnola, l’ha privata del cellulare dopo la violenza, subito prima di condividere il video del successo di questa battuta di caccia sul gruppo Whatsapp dal nome emblematico di “La manada” (branco di lupi). Violenza, stupro, brutalità. Parole immediate per un crimine che non dovrebbe lasciar spazio all’interpretazione. Non è così, tuttavia, per i giudici che, dopo cinque mesi di processo a porte chiuse, rigettano l’accusa di stupro ricalibrandola nel più lieve “abuso sessuale”. Le parole sono importanti. Per la legge spagnola la differenza tra i due capi di imputazione è molto chiara: il primo prevede violenza e intimidazione, il secondo no.
Ancora una volta è lampante il fulcro della questione: se un gruppo di cinque uomini su di giri vuole stuprarti e non ti opponi a sufficienza (rischiando magari solo la vita) non sei vittima di violenza. Forse un po’ “te la sei cercata” o “in fondo ti è anche piaciuto”, lezioni di vita preziose impartiteci più e più volte: lo ha detto la Cassazione italiana sostenendo che Rosa non è stata stuprata perché “i jeans non possono essere sfilati da un aggressore” (1999); lo ha ricordato il giudice canadese Robin Camp sentenziando che “la ragazza poteva chiudere le gambe” (2015); o ancora la Cassazione che assolse uno stupratore perché la vittima non aveva “urlato ma solo detto di no” (2017).
Queste le parole di una lettera scritta dalle Carmelitane di clausura di Hondarribia che, unendosi a quella campagna che mira da mesi a strappare il velo dietro il quale si cela l’imperante violenza di genere di cui questo caso è solo la punta dell’iceberg, concludono: “Sorella, io ti credo”. Su quest’onda il premier spagnolo annuncia una possibile revisione del testo di legge, politici di tutte le estrazioni si dicono sconvolti da una sentenza di questo tipo, da ogni parte del mondo arriva solidarietà. Non rimane che sperare, si direbbe, e invece no. La speranza non c’entra. L’unico cambiamento possibile è in mano nostra, nella vita di tutti i giorni e nella pratica quotidiana della protesta, nel non tacere di fronte alla violenza, nel denunciare e nell’assumere la consapevolezza di essere figli di una cultura che su temi come questo deve essere necessariamente scardinata.
pubblicato sul numero 36 della Falla – giugno 2018
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