Fallen Angels (just) want have fun

di Carmen Cucci 

Era il 1931 quando Virginia Woolf pronunciò il suo discorso sulle “Professioni delle donne” alla National Society for Women’s Service. Scrivere, per una donna dei suoi tempi non risultava essere troppo complicato, se si faceva parte come minimo della borghesia: bastava essere una ragazza in una stanza da letto e con una penna in mano. Tutto quel che doveva fare era far scorrere quella penna da sinistra a destra dalle dieci all’una, inviare il manoscritto al suo editore, attendere la lettera dal redattore con una sterlina, dieci scellini e sei pence, comprare del burro o un gatto persiano, come fece lei stessa, inimicandosi i vicini. Il basso costo della carta per scrivere è, naturalmente, la ragione per cui le donne hanno avuto successo nella scrittura prima che in altre professioni, dice con semplicità. Eppure, scrivendo, si ha bisogno di parlare di qualcosa. Quindi, le accadde di dover recensire il romanzo di uno scrittore famoso, ma una presenza fastidiosa molestava le sue parole. Costei, chiamata canonicamente “angelo del focolare”, le ricordava che stava parlando di un uomo: “sii comprensiva, sii tenera, lusinga”, le ripeteva.

In quel periodo ogni casa ne aveva uno. Coventry Patmore ne coniò l’espressione e rimase la modalità più diffusa per descrivere la posizione della donna all’interno della società vittoriana: relegata all’interno degli angusti confini domestici, essa doveva mantenersi pura e innocente e non avere nessun tipo di contatto con il mondo esterno. “A domestic woman whose sole window on the world is her husband”. Virginia non avrebbe dovuto lasciar trapelare un suo pensiero, in virtù del paradigma “piety, purity, submission and domesticity”. Complicato portar avanti un lavoro critico con un fardello tale e immeritato. Cosa rimaneva da fare, allora? Strangolare l’Angelo, non essere conciliante, affascinante: in poche parole, non mentire per avere successo. Scagliarle addosso il calamaio ogni volta che se ne percepisce l’ombra dell’ala o che la luce della sua aureola appare sullo scrittoio.

È stato duro, uccidere un fantasma, molto più che una creatura reale. La lotta era ardua, densa di pregiudizi incancreniti dal tempo e duri a morire. Essi persistono e si palesano subdolamente in molti gesti del quotidiano: quando vi dicono di sorridere, di essere carine, di non essere sboccate, di vestire in maniera femminile, di accettare con seraficità che un uomo con il vostro stesso livello d’istruzione percepisca uno stipendio superiore al vostro, di cercarvelo un uomo perdio, preparargli da mangiare, stirare i suoi calzini, portare i figli a scuola. In breve, eccellere nella difficile arte della vita familiare e sacrificarsi allo stremo. Se si mangia pollo, prenderne la zampa, se c’è corrente d’aria, sedersi nel mezzo. E soprattutto – non c’è bisogno di dirlo – essere pure. La purezza è considerata la principale bellezza, i rossori la grazia più grande.

La Woolf piegò questo ideale che stava togliendo il cuore ai suoi scritti, si voltò, l’afferrò alla giugulare e fece del suo meglio. Se fosse servita una scusa, da presentare in tribunale, la risposta sarebbe stata “legittima difesa, vostro Onore, se non l’avessi fatto io, lei avrebbe ucciso me”. Se l’avesse eliminata definitivamente era difficile a dirsi, comparendo esso ogni qual volta pensava fosse finita; ma andava fatto, era parte della professione di scrittrice.

Eppure, accantonare l’Angelo non risolvette altre difficoltà che le si pararono davanti. Una, più oscura, qualcosa a proposito delle passioni di cui per una donna era inappropriato parlare. Se gli uomini con grande buon senso permettevano a se stessi molta libertà in merito, era raro che si accorgessero o che potessero controllare l’estrema severità con cui giudicavano una libertà analoga quando si trattava di una donna. Suona ancora familiare, nevvero? Ecco, lei e le donne presenti a quella conferenza non riuscirono a risolvere il quid, a scagliare il sasso. Quelle che vennero dopo e che continuano ancor oggi a porsi la stessa questione, ci stanno provando: sorridono quando le si dice che sono belle, applaudono quando si afferma che siano intelligenti, fanno la ola all’asserzione che sì, provano desiderio. E parecchio.

Mascherare con l’ammirazione una palese dichiarazione d’inferiorità lo si può lasciare a Dante e Petrarca. Le brave ragazze non sono figure angelicate: a loro piace divertirsi, pensare ed esprimersi, anche e soprattutto in maniera non conforme allo stereotipo loro affibbiato. E nel 2017 dobbiamo ancora lottare per farlo. Sia come sia, grazie Virgi.

pubblicato sul numero 23 della Falla – marzo 2017