Fresco di premio come migliore sceneggiatura al festival di Cannes 2019, Ritratto della giovane in fiamme (Francia, 2019, 119’) di Celine Sciamma è arrivato in anteprima per Gender Bender e Some Prefer Cake al cinema Roma di Bologna. Al suo quarto film la regista decide di lasciare l’ambientazione contemporanea di Tomboy e Naissance des pieuvres per un XVIII secolo stranamente lontano dagli eccessi del Barocco. Una scelta bizzarra se l’obiettivo è quello di «uscire dall’idea dell’amore lesbico come amore impossibile», come dichiara la regista stessa a Federica Fabbiani, che ha condotto il dibattito seguito alla proiezione, ed è una delle programmer di SPC.
Alla pittrice Marianne (Noémie Merlant) viene commissionato da una contessa (Valeria Golino) il ritratto della figlia Héloise (Adèle Haenel), prossima a un matrimonio non desiderato con un nobile milanese. Nonostante l’abilità di Marianne, il compito risulta arduo per la resistenza di Héloise a posare: già un pittore prima di lei aveva rinunciato all’impresa, le racconta la serva Sophie (Luàna Bajrami). L’artista deve quindi seguire la futura sposa sull’isola, sotto la copertura di dama da compagnia e completare il ritratto nel segreto dello studio, ma la vicinanza delle due le porterà alla fine a innamorarsi.
Il filtro «femminile e femminista» applicato dalla Sciamma si avverte sin dall’inizio. Primo: nel tentativo di ridisegnare la figura della Musa, da statua mirabile a co-creatrice della propria rappresentazione. La tela perfetta completata da Marianne poco tempo dopo il suo arrivo, rispettosa di canoni e regole pittoriche, viene distrutta, segnando l’impossibilità di sovrapporre lo sguardo della pittrice a quello maschile dominante la tradizione artistica. E, sottratte dallo sguardo dell’uomo, le donne tutte hanno la possibilità di ridisegnarsi, di contraddirsi e di emanciparsi: nessun personaggio serve da sfondo all’altro. «Il progetto narrativo e politico nasce proprio con l’idea di non reificare nessuna delle personagge ma di raccontarle a tutto tondo, uscendo dalla dinamica del nonostante: nonostante sia una donna, riesce per la sua eccezionalità. Voglio rendere giustizia a tutte quelle donne che ce l’hanno fatta per il fatto di averci creduto abbastanza». In un mondo ingessato da norme sociali e gerarchiche, come quello tardo settecentesco (e non solo), le tre donne si muovono in un rapporto paritario, in cui anche la stessa Sophie è artefice del proprio destino, decidendo e riuscendo nell’interruzione della propria gravidanza. Anche la stessa madre, ambasciatrice del mondo patriarcale all’esterno dell’isola, è ben lontana dalla matrigna arcigna e cattiva delle fiabe.
«Siamo abituati a vedere in scena dei conflitti. Normalmente la scena è quella di una negoziazione tra due personaggi: uno vuole qualcosa e l’altro lo ostacola» risponde Sciamma, quando le viene chiesto perché gli uomini siano quasi del tutto assenti durante il film, se non sotto forma di allusione o comparsa. «Un personaggio maschile avrebbe in un qualche modo impedito l’amore tra le due e al tempo stesso ne avrei reificato anche la presenza, limitandolo alla parte dell’ostacolo».
Sciamma sente l’urgenza di raccontare una storia d’amore che sia anche una storia di emancipazione e utilizzare il cinema come uno strumento di consapevolezza: «Mettere uno sguardo nostro vuol dire cambiare narrazione, crearne una nuova come principio politico ed entrare in una dimensione in cui una situazione egalitaria può creare suspense».
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