Medusз – OsservAzioni sulla Lesbofobia è un progetto collettivo che include molte anime dell’attivismo lesbico italiano, associazioni e attiviste lesbiche, bisessuali e trans*, trans/femministe, che combatte la crescente invisibilizzazione e la diminuzione degli spazi di espressione pubblica con cui il movimento lesbico ha dovuto fare i conti negli ultimi anni. Il progetto è nato nel 2020 dal legame che la rabbia e il dolore condivisi per il lesbicidio di Elisa Pomarelli hanno rinsaldato e ha come focus la lesbofobia, una parte fondamentale dell’esperienza delle soggettività lesbiche, delle donne bisessuali e delle persone non binarie percepite come donne. Lavoriamo sul monitoraggio della lesbofobia in Italia perché non sia erroneamente percepita come fenomeno minoritario dalla società, dai media e anche dal movimento LGBTQIA+ stesso, proponendo azioni di contrasto politiche e culturali. Lo strumento di indagine è infatti lo sviluppo di osservazioni sulla lesbofobia come fenomeno spesso invisibile o ridotto a mera espressione di sessismo od omofobia, senza considerare come la combinazione di questi due elementi sia invece in grado di produrre una forma di violenza specifica.

Censiamo gli episodi di lesbofobia ripresi dai media, raccogliamo dati dalla nostra comunità attraverso la diffusione di un questionario anonimo sulla lesbofobia vissuta nel quotidiano e sulla propria pelle, ribaltiamo la narrazione tossica e condividiamo saperi ed esperienze per combatterla. Il lavoro è volto anche all’analisi lessicale di tale narrazione, affinché sia quanto più possibile corretta, nella certezza che il cambiamento culturale non possa prescindere dalla corretta narrazione delle esperienze, delle esistenze e degli accadimenti e gli episodi di lesbofobia non fanno eccezione.

In occasione dello scorso 17 maggio abbiamo pubblicato il secondo Report nazionale sui casi di lesbofobia in Italia che affronta in particolare cinque aspetti: la lesbofobia dal punto di vista delle lesbiche, la narrazione mediatica della lesbofobia, l’analisi giuridica dello stato dell’arte della discriminazione e della tutela in Italia per le persone LGBTQIA+, le forme di resistenza alla lesbofobia e un vademecum per una sua corretta narrazione.

È in primo luogo il tradimento dell’aspettativa sociale e del ruolo di genere il pretesto che determina la violenza lesbofobica, agita primariamente dalla famiglia di origine, tra le mura di casa, dove emerge dagli esiti della ricerca che le dinamiche proprie del sistema cis-etero patriarcale si manifestano ancora con forza.

I casi che arrivano all’attenzione mediatica sono molto pochi – 20 i casi censiti dai media nell’anno di riferimento – rispetto agli atti lesbofobici segnalati invece in maniera diretta nei questionari anonimi – 238 quelli compilati. La maggior parte delle violenze lesbofobiche infatti non viene denunciata, non è resa pubblica e non arriva sui giornali, per la persistente reticenza di coloro che ne sono bersaglio, dovuta alla scarsa fiducia nel sistema giuridico italiano e nelle forze dell’ordine e/o alle conseguenze che tali denunce potrebbero comportare. Pertanto, non solo il fenomeno è sottostimato a causa della disattenzione dei media, ma questi ne privilegiano una narrazione in chiave sensazionalistica che riguarda solo gli accadimenti più efferati, rendendo quasi totalmente invisibili le aggressioni verbali e le violenze psicologiche, che invece rappresentano un dato significativo e preoccupante nel quotidiano delle lesbiche e delle persone percepite come tali. La lesbofobia, in tutte le sue forme, costituisce infatti un fenomeno strutturale e presente in ogni ambito, dalla famiglia al lavoro, dalla scuola allo sport, agli stessi contesti di socialità e attivismo. 

La forma di lesbofobia maggiormente denunciata (53,3%) è l’invisibilizzazione. L’esistenza delle lesbiche, infatti, è stata storicamente negata e resa invisibile da una narrazione che ha privato del diritto di autodeterminarsi e del diritto di narrare la propria esperienza tutte coloro che vivono i propri percorsi di vita al di fuori del sistema cis-etero-patriarcale.

La seconda forma di lesbofobia più denunciata è l’aggressione verbale (52,2%), che nel 30% dei casi assume i termini di una vera e propria minaccia. I discorsi d’odio, le minacce e le molestie (anche sessuali) praticate on-line sono denunciate dal 25% delle persone. La terza forma più denunciata è la violenza psicologica (37,2%), dato significativo che fa emergere chiaramente – a differenza di quanto portato avanti dalle narrazioni mediatiche – il peso di questa forma di violenza sui vissuti quotidiani delle lesbiche e delle persone percepite come tali.

L’invisibilizzazione della lesbofobia e la sua scarsa persecuzione contribuiscono ad alimentare il sentimento di disillusione che le lesbiche e le persone LGBTQIA+ in generale vivono in Italia. Prospettiva che espone non solo al minority stress, ma anche all’autolimitazione e all’autocensura messe in atto al fine di evitare o ridurre gli episodi di lesbofobia, andando a creare e ad ampliare una frattura profonda che allontana spesso la visibilità, la libertà e l’autodeterminazione dall’esperienza quotidiana.Il movimento lesbico nel corso della sua storia, ha risposto ai bisogni delle lesbiche lavorando su autodeterminazione ed empowerment, individuando strumenti e pratiche che identificano ancora oggi le nostre lotte. La Rete Medusз porta avanti queste esperienze e – attraverso il lavoro, il supporto e lo scambio collettivo – si pone come punto di riferimento per l’osservazione della lesbofobia in Italia, al fine di costruire azioni di contrasto che migliorino la vita delle lesbiche e delle persone percepite come tali, con l’obiettivo ultimo di destrutturare le motivazioni culturali di tale discriminazione.