Una donna cresce a Pechino, si laurea in medicina, osserva e assimila usi e costumi della cultura in cui è immersa, volente o nolente. Poi parte, decide di salire su un aereo e recarsi negli Stati Uniti, al fine di conseguire un master per giovani scrittori all’Università dell’Iowa. Vuole lasciarsi tutto alle spalle, iniziare una nuova vita, tanto da promuovere per sé la più grande delle rotture: abbandonare la lingua madre, non solo nel parlare, ma addirittura nello scrivere. Ci riuscirà tanto bene da affermare in un’intervista di sognare ormai in inglese.
Il gioco degli autori che sono divenuti famosi per scrivere in una lingua diversa da quella natia non è nuovo nella letteratura. Murakami stesso per il suo romanzo d’esordio, Ascolta la canzone del vento del 1979, decise di utilizzare l’inglese per la prima stesura, in modo da costringersi ad asciugare il proprio stile. Ágota Kristóf adotterà come lingua letteraria il francese a dispetto dell’ungherese. Ma poi Nabokov, Ghosh, Blixen e molti altri.
Yiyun Li è riuscita tanto bene nell’impresa da essere ascritta tra i migliori scrittori americani della sua generazione. Ciò che può stupire di questa raccolta di racconti, edita nel 2019 da Nne, è che la sua voce, ormai lontana dalle terre del sol levante, abbia dato vita a racconti del tutto ambientati nella Cina dalla quale la scrittrice era fuggita. Ragazzo d’oro, ragazza di smeraldo è una raccolta di nove storie che trovano la loro ragion d’essere attorno a due poli che si sovrappongono: una tradizione quasi anacronistica, fatta di usanze che paiono dimenticate ma regolano la vita; il complicato intreccio dei rapporti umani, schiacciati tra l’universo emotivo interiore, che gratta contro il ghiaccio in superficie, e le regole che determinano cosa è appropriato e cosa non lo è.
Ogni racconto segue un tema particolare, vero protagonista silente tra le pagine, che viene fatto emergere quasi in assenza, per poi essere svelato e reso tangibile dall’esito dell’intreccio. A sapere che in poche pagine si parla di omosessualità maschile e femminile – nella Cina contemporanea – di pedofilia, di Gpa, di adozione, di affetti intergenerazionali e molto altro, verrebbe forse da pensare che l’autrice abbia osato troppo in poche righe. Tuttavia la maestria della narrazione di Yiyun Li è tale da riuscire, già dopo un paio di capoversi, a calare il lettore in una realtà fittizia estremamente tangibile, attraversando l’universo psicologico dei protagonisti delle vicende, spesso burattini dai fili recisi che cercano il modo di muoversi in una società che li ha controllati e li vincola ancora.
È stato scritto che i racconti contenuti in queste pagine «hanno l’impatto di Carver e Murakami», oppure che ricordano l’opera di Ĉechov. Ogni paragone è probabilmente azzardato, figlio della necessità di segnalare che queste storie hanno un valore letterario non irrisorio; eppure, anche se non in questi termini, la penna di questa scrittrice cinese naturalizzata americana va davvero tenuta d’occhio, se non altro per la facilità con cui squaderna la vita nel fiume delle sue parole.
Immagine in evidenza realizzata da Ren Cerantonio
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