Recensione del film Wild nights with Emily Dickinson di Madeleine Olnek

Futile the winds / To a heart in port, / Done with the compass, / Done with the chart.

«Inutili i venti / A un cuore ormai in porto / Non serve la bussola, /Non serve la mappa.»

Se esiste uno spazio in cui disorganizzare, disordinare, disarticolare i canoni, questo è l’arte. Madeleine Olnek, regista e drammaturga lesbica, decide di sabotare il più canonico dei canoni, quello che ha operato una puntuale invisibilizzazione delle storie e degli amori delle donne e delle lesbiche e lo fa con il film Wild nights with Emily Dickinson, proiettato il 31 maggio al Sicilia Queer 2022.

Dopo aver letto un articolo sul New York Times in cui si raccontavano i recenti lavori sulle lettere originali di Emily Dickinson e che permisero di confermare tesi già sostenute da studiose rispetto all’amore di Emily per Susan Huntington, amica d’infanzia e poi cognata della celebre poeta, Olnek intraprende un lungo e importante lavoro di ricerca che la porta a scrivere nel 1999 una pièce teatrale e nel 2018 di uscire con un film che ci restituisce un’immagine potente, ironica e inedita di Emily Dickinson, interpretata da Molly Shannon; Susan Ziegler veste invece i panni di Huntington.

Sono due le attribuzioni operate dal canone storico-letterario da cui Olnek desidera, attraverso una sceneggiatura mordace e ironica, prendere le distanze: il suo algore affettivo e la sua ritrosia nel voler pubblicare le sue opere. Si tratta di due caratteristiche particolarmente efficaci per cancellare le tracce della cesura/censura patriarcale sui corpi e sulle parole delle donne. Solo nell’evidenza di questo il film abbandona per qualche istante i toni ironici e ci porta nell’atmosfera melanconica e arrabbiata in cui contattare quella che loro chiamano la Storia. Si tratta dell’unica scena in cui lo schermo si divide in due: da una parte vediamo Sue che lava il corpo morto dell’amata, dall’altra vediamo mrs Todd – amante di Austin Dickinson, ossessionata da Emily – che cancella il nome di Sue dalle lettere di Emily, per poterle pubblicare come fossero indirizzate a un uomo che non ricambiava il suo amore. 

Quello che vediamo non è una poeta sociopatica, triste, tormentata, frustrata, ma la storia di una poeta energica, divertente e appassionata – non solo di un’unica donna -, lesbica senza avere le parole per dirlo, determinata e lucida, abbandonata al conforto delle amanti per resistere alle strutture dell’establishment letterario che le nega la possibilità di uno spazio di parola pubblico. Quasi trovando nella passione, nell’amore e nell’erotismo la chiave per sabotare queste oppressioni e non sentirsi vinte.
Questo importante film si inserisce coraggioso in una lenta ma imprescindibile produzione che prova a riappropriarsi delle storie letterarie e di vita di tante donne e lesbiche la cui vicenda e opera è stata riscritta o cancellata.

Photo credit: Anna Stypko