La 20esima edizione del festival internazionale Gender Bender ci ha presentato Overtour, un lavoro iniziato dall’artista, performer e coreografa italiana Silvia Gribaudi ben dieci anni fa e che arriva a noi in forma di documentario. Attraverso lo sguardo del regista Andrea Zanoli veniamo catapultat* in questa esperienza che racconta arte, danza e teatro attraverso i corpi di donne over 60 di tutta Italia, alcune delle quali bolognesi. Il progetto ha avuto inizio con un’open call in cui aspirant* partecipant*, convint* si trattasse di balli popolari – così come ha affermato Gribaudi divertita – si sono invece trovat* ad affrontare nuove relazioni: con lo spazio, con l’altr*, con il proprio corpo.
Gribaudi comincia a danzare da giovanissima in un mondo, quello della danza, che sembra non essere fatto per tutt*. I corpi si evolvono, mutano – così come il tempo – e arriva il momento in cui non si diventa altro che un corpo fallito all’interno di una società che impone dei canoni. Un corpo esposto al giudizio e che, come una scatola, si ritrova a non poter far altro che raccogliere tutti quei giudizi al suo interno. Il grande lavoro che compie l’artista è un lavoro di scoperta, non solo del proprio corpo, ma anche della danza.
Le domande che Gribaudi si pone sono: come il grasso può danzare? Come fare quando il corpo sembra avere una propria volontà e ogni parte agisce da sé?
«Il coreografo è il corpo, non io!», ed è con questa frase che Gribaudi sancisce non l’adattamento del proprio corpo alla danza, bensì della danza al proprio corpo.
In Overtour le donne over 60 – troppo spesso invisibili, dai corpi non conformi, dalle identità poco rappresentate, relegate a ruoli marginali dalla televisione e dal cinema, – emergono con potenza, sino a creare quello che l’artista definisce un vero e proprio flashmob. Con queste donne, tutte senza alcuna esperienza artistica alle spalle, Gribaudi inizia un viaggio alla riscoperta di un corpo in continua e incontrollabile trasformazione. Un corpo non più oppressore, ma strumento d’azione, «un’opportunità» – come lo definisce l’artista. Il documentario mostra vari momenti dell’esperienza: i laboratori, le residenze artistiche, le performance sia di Gribaudi che delle partecipanti, le interviste in cui le donne raccontano la loro esperienza all’interno del laboratorio, nonché il cambiamento che quest’ultimo ha portato nelle loro vite.
Silvia Gribaudi, all’interno dei suoi laboratori e nei confronti dell* partecipant*, non vuole creare uno spazio di educazione, ma una vera e propria relazione artistica basata sul contatto, l’empatia, un patto relazionale tra corpi e persone. Uno spazio in cui si è pront* ad accogliere l’altr*, in cui «il corpo diventa opera d’arte».
Ne è una rivelazione la performance all’interno di un supermercato, in cui il gruppo, che si definisce scherzosamente “alternativo”, esprime in tutta la sua essenza non solo un senso di libertà, ma soprattutto la bellezza dell’informalità dell’azione artistica. Gribaudi è stata recentemente ospite a Alloggiando Art Fest e qui si può leggere di più del suo approccio anche comico nei confronti della danza.
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