Ogni soggettività marginalizzata, nell’evolversi della propria elaborazione identitaria e politica, si trova a fare i conti con il tema della parzialità della storia. L’insana convinzione, un po’ patriarcale, dell’oggettività del dato storico si scontra inevitabilmente con quella che Saidiya Hartman definisce «violenza degli archivi»: alcune storie non vengono raccolte, conservate, raccontate, e così vengono distrutte. Questo avviene per banali dinamiche di potere e oppressione, ed è quindi compito di una comunità ricostruire una storia propria che non si è potuta ereditare, ma che anzi spesso va strappata da una narrazione collettiva offuscata dall’eternormatività. 

Su questo tema si concentra il recente lavoro saggistico di Franco Buffoni che, dopo Silvia è un anagramma, torna a decostruire certezze apparenti per reinserire nell’arco del tempo alcune storie negate, come le vite del titolo del suo nuovo libro. Vite negate, appunto, uscito il 12 ottobre per Fve editori, è un saggio destinato a trovare posto nell’archivio della comunità LGBTQ+, per più motivi. Non solo Buffoni dichiara, al termine della prefazione, che il suo libro «si considera in dialogo con l’opera di saggisti quali Paul B.Preciado, Judith Butler, Donna Haraway e Monique Wittig», ma, sempre in premessa, raccoglie basi teoriche che vanno da Mieli a Foucault concentrandosi in particolare sul concetto di definizione: «Definire e definirsi è un atto essenziale. Proprio nell’antica assenza della necessità di definirsi da parte del maschio bianco eterosessuale sta il nocciolo della questione dell’identità. L’eterosessualità si definisce in grande misura attraverso ciò che rifiuta. Così come una società si definisce attraverso ciò che esclude. Ogni volta che un omosessuale fa coming out, obbliga l’eterosessuale a definirsi come tale. E paradossalmente è proprio attraverso un processo di disidentificazione che l’omosessuale giunge a costruirsi una propria identità omosessuale». 

Nella ricerca di una delle definizioni possibili, Buffoni gioca poi con l’esistenzialismo ponendo una premessa interessante al suo lavoro: «Omosessuali non si nasce né si diventa. Omosessuali si è». Questo assunto prelude al nocciolo della linea argomentativa del saggio. Se si lasciano altrove valutazioni che possono implicare il concetto di causa – che viene inesorabilmente chiamato in ballo anche solo accettando come piano del ragionamento che omosessuali «si nasce» o «si diventa» – allora non rimane che osservare dei fenomeni. Uno di questi fenomeni è proprio la negazione dell’omosessualità. Negazione, operata o subita, che corre spesso sul binario di quell’omofobia interiorizzata attorno alla quale Buffoni costruisce di fatto un decalogo di vite simbolo di questo concetto. Da Zenone a Dante, passando per Enrico III di Francia, Schubert e Leopardi fino a Palazzeschi, Eliot e Gadda (ma senza trascurare vite più comuni, di cui in anni recenti sono emerse con maggiore facilità le storie), questo libro si rivela un’interessantissima e preziosa disamina dei fenomeni che vuole descrivere, destinata non solo a una lettura intensiva ma a più letture e riletture spalmate nel tempo, soprattutto pensando alla quantità di materiale storico/biografico raccolto, e magistralmente trasmesso, in queste pagine. 

Si osserverà che nel volume le negazioni sono tutte di uomini ma, come spiegato nel saggio, questo avviene «non perché non ne esistano almeno altrettante appartenenti all’universo femminile, ma semplicemente perché chi scrive non possiede la strumentazione ermeneutica per farlo». Ed è anche questo un segnale di cura rispetto al tema trattato: non è tipico che uno scrittore non solo si ponga un problema del genere, ma ne sottolinei la mancanza in questi termini. Il che, come dato, non può che accentuare l’interesse verso questo titolo, nella speranza che non passi troppo inosservato.

Immagine in evidenza di Dino Ignani da https://internopoesia.com/