«Identità fuori dal binarismo di genere», terzo incontro di Amore in mostra

«Le identità Gender Fluid e Non Binary emergono nel panorama LGBTQI+ e obbligano a cambiare punto di vista su pronomi, aggettivi e molto altro». 

È questa la premessa dell’incontro webinar Identità fuori dal binarismo di genere, svoltosi il 31 Maggio, terzo appuntamento del Festival Amore in Mostra promosso da Eduxo.

A moderare l’incontro Silvia Villani, volontaria di Eduxo ed esperta in Medicina di genere e salute sessuale, coadiuvata da Valeria Roberti, attivista, facilitatrice, formatrice e project manager, presidente del Centro Risorse LGBTI – LGBTI Resource Centre. A condividere le loro esperienze di attivistǝ e di persone non binarie, Mina Tolu, Ugla Stefanía Kristjönudóttir Jónsdóttir e Dani Prisacariu. Tuttǝ e tre utilizzano in inglese i pronomi they/them, ma ci spiegano che non esiste un solo modo per essere non binariǝ. Non binary, infatti, è un’espressione ombrello che racchiude tutte le identità di genere che non si conformano al binarismo socialmente normato di maschio-femmina.

Mina, o Jack, è unǝ attivista maltese per i diritti LGBTIQ+ e la sostenibilità ambientale in Europa, anche candidatə al Parlamento Europeo nel 2019 con i Verdi, oltre che portavoce di FYEG (Federation of Young European Greens). Si identifica come non binary e transmasc, ovvero vicinǝ allo spettro di genere maschile. Parla anche l’Italiano, ma si è resǝ conto solo venendo a vivere a Roma di quanto la nostra lingua sia profondamente genderizzata, esprimendo in molti suoi aspetti marche di genere. In maltese, ci dice, si sta provando a introdurre l’uso del plurale neutro sulla scorta dell’inglese they/them.

Dani, attivista e facilitatorǝ di apprendimento relazionale, si dichiara non binariǝ perché non si sente né uomo né donna. Anche il rumeno, la sua lingua madre, è una lingua che marca il genere, come del resto anche le altre lingue neolatine. Nella forma scritta si prova a usare il suffisso -x, purtroppo poco pratico nel parlato. In rumeno lui è el, lei è ea: come attivistǝ, la proposta per le persone non binarie sulla quale stanno lavorando è es. Dani tiene a sottolineare l’importanza di questo discorso, perché la lingua riguarda in maniera preponderante le relazioni tra le persone e l’uso di un linguaggio inclusivo è solo la traduzione del rapporto che la società ha con le nostre identità.

Ugla, giornalista, co-direttorǝ dell’organizzazione cinematografica Mygenderation e advisor per All About Trans, si identifica come transfem, ossia vicinǝ allo spettro di genere femminile, ma aggiunge che la sua identità è più complessa del socialmente normalizzato binarismo di genere.  È natǝ e cresciutǝ in Islanda e nella sua lingua preferisce il femminile. In realtà, specifica, in islandese esisterebbe un genere neutro, che però è utilizzato solo per gli oggetti inanimati e usarlo per le persone sarebbe straniante. Per questo è stato creato il pronome neutro hán, sul modello di hann (lui) e hún (lei). «Dobbiamo creare una società in cui ci sentiamo rappresentatǝ», aggiunge, «e per farlo abbiamo bisogno anche di pronomi che esprimano le nostre identità».

Il pubblico ha chiesto allǝ relatorǝ di parlare di come hanno capito che la loro identità di genere era non binaria e come hanno vissuto i loro coming out. Dani risponde che non sapeva dell’esistenza delle persone non binarie finchè non ne ha incontrata una a Budapest durante una conferenza sui temi LGBTQ+. Da quel momento ha cominciato a usare anche lǝi i pronomi neutri in inglese ed è stato come se avesse trovato un pezzo giusto del suo puzzle. Fare coming out con lǝ amichǝ è stato facile, più complesso con la famiglia avendo deciso anche di cambiare nome anagrafico. Esplorare la propria identità di genere, sottolinea, è una pratica che andrebbe messa in atto da tuttǝ, non solo dalle persone trans*, così da imparare a conoscere meglio sé stessǝ.

Mina/Jack parla del coming out come una pratica continua e quotidiana. Quando ha cominciato a usare le parole queer, non binary, gender nonconforming (genere non-conforme) per descriversi è stato come se queste avessero cominciato a risuonare con la sua identità. Alle persone più giovani, che si stanno conoscendo, dice di non avere fretta e prendersi il tempo per scoprirsi e di parlare con amichǝ, attivistǝ, associazioni.  Lǝi ha fatto attivismo trans* per 6 anni ma solo recentemente ha iniziato a definirsi anche al maschile: ha avuto bisogno del suo tempo e delle sue esperienze, come tuttǝ.

Ugla ci fa notare che quando le persone pensano al non binarismo pensano a qualcuno di completamente androgino. Lǝi invece ha fatto un percorso di transizione e si presenta in maniera molto femminile, quindi le persone assumono che sia una donna, e per lǝi va bene perché si sente vicinǝ a quello spettro. Ma, ci tiene a sottolinearlo ancora, ogni percorso è differente. Prima di sapere dell’esistenza delle persone non binarie se fosse statǝ costrettǝ a scegliere tra due avrebbe scelto il femminile.

Viene chiesto poi di come vivono nei loro paesi in quanto persone non binarie: Mina/Jack risponde che sia lǝi sia Ugla si sono entrambǝ trasferitǝ da nazioni che riconoscono per legge l’esistenza dei generi non binari in altre più transfobiche, rispettivamente da Malta all’Italia e dall’Islanda al Regno Unito. Ugla aggiunge di sentirsi a suo agio quando viene invitatǝ a parlare di tematiche trans* e queer alla radio o alla televisione islandese, mentre sa di doversi preparare alla guerra nelle trasmissioni in UK. In generale, poi, sente che si parla sempre più di identità non binarie e che il discorso si sta spostando nel mainstream, ma ci sono ancora molti stereotipi che influenzano negativamente le loro vite. Nota spesso che molte persone si comportano diversamente con lǝi quando vengono a sapere che è trans*. Pur lavorando nei settori sociali, tendenzialmente più accoglienti, riporta che nel Regno Unito il 64% delle persone trans* nasconde la propria identità sul posto di lavoro per paura delle discriminazioni. Mina/Jack fa un discorso analogo per l’Italia e afferma che anche lǝi ha preferito in diverse occasioni presentarsi con il genere assegnato alla nascita durante i colloqui di lavoro.

Si discute in chiusura del vastissimo tema del rapporto tra persone non binarie, riconoscimento legale e terapie di transizione. Silvia introduce l’argomento usando la sua esperienza durante la formazione di personale medico e parla di come in Italia ci sia un forte gatekeeping nei confronti delle persone trans* da parte di specialistǝ, che possono arrivare a dirti che non sei abbastanza trans* per iniziare un percorso. Il nostro stato riconosce solo il sistema di genere binario e questo provoca enormi disagi alle persone non binarie che non vogliono seguire un percorso medico standardizzato «da uomo a donna o viceversa». 

Mina/Jack spiega che c’è un problema di procedure legali e mediche dal momento che c’è una lista di caratteristiche necessarie per poter essere accettatǝ e riconosciutǝ. La legge italiana prevede un intervento di riattribuzione chirurgica, ma la Cassazione ha emesso una sentenza che rende possibile cambiare i propri documenti anche senza questo tipo di intervento. Nella sua esperienza personale si è trovatǝ a scegliere tra il sistema maltese, che ha maggiore rispetto e riconoscimento per la sua identità, e quello italiano, che lǝ richiede di essere pesantemente patologgizzatǝ e di rientrare nel binarismo di genere, ma che ha una migliore esperienza medica.

Per concludere, Ugla afferma che ogni percorso è differente e personale e ognunǝ deve sentirsi liberǝ di intraprenderlo e fermarsi quando vuole. Mina/Jack, invece, ci ricorda che nessunǝ può dire che la tua identità di genere non va bene e che nessunǝ ci conosce meglio di noi stessǝ.

Foto nel testo di @.mina_tolu e @uglastefania