Dalla fine di settembre è disponibile su Netflix la terza stagione di Sex education, serie TV inglese firmata da Laurie Nunn che racconta le vicissitudini di Otis, un adolescente sensibile ed empatico che vive con la madre Jean, libera e ingombrante scrittrice/terapeuta sessuale che, fra le altre cose, decide di prendere a esempio proprio i problemi di masturbazione del figlio per scrivere un libro sulla pubertà. Spesso Otis si sente in imbarazzo e inadeguato, ma decide di seguire il consiglio di Maeve – coriacea bad girl dall’intelligenza raffinata e dalla famiglia problematica, sua compagna nella vicenda – e di Eric – migliore amico di Otis, un appariscente ragazzo gay dalla vita amorosa complessa e con una famiglia credente africana che mal tollera il suo orientamento sessuale – di iniziare a scuola un’attività di consulenza sessuale per studenti in cui lui farà da terapeuta, sfruttando l’esperienza acquisita fra le mura di casa.

Dal 2019 Sex education ha trattato temi considerati delicati per il grande pubblico e spettatori e critica hanno sempre risposto positivamente. Il New York Times la descrive come una serie «tempestiva, ma non ostinata, di attualità, femminista e con una rinfrescante mancanza di angoscia riguardo al suo soggetto» e una recensione del Washington Post sottolinea come non tratti solo «delle dimensioni, della forma e degli usi inventivi delle nostre parti private», ma, soprattutto in questa terza stagione, di body positivity

«Se la vediamo in forme diverse è perché non ce n’è una sola. Ognuna è perfetta, anche la tua» è, infatti, lo slogan che ha campeggiato sui cartelloni pubblicitari a Milano che ne hanno lanciato l’uscita. Un’ostrica, una banana, un’albicocca, un cactus e un’orchidea hanno scatenato accese polemiche con tanto di richiesta di censura per via delle «foto e scritte con chiare allusioni falliche e vaginali». A poco è servito far notare come Netflix stesse sensibilizzando su temi riguardanti la salute e il benessere delle persone e di come avesse messo in campo una vera e propria campagna di marketing sociale con incontri, video e affissioni che riguardano la sfera sessuale: l’associazione Pro Vita & Famiglia ha pubblicamente sollecitato la censura, in effetti mai avvenuta.

La bagarre si è placata in poco tempo, ma il mondo della pubblicità nel nostro Paese è spesso costellato da ombre più o meno catoniane. Sebbene in Italia, a oggi, non esista un vero e proprio ente deputato alla censura dei prodotti televisivi o cinematografici (la totale libertà di stampa è garantita dall’art. 21 della Costituzione), abbiamo una commissione preposta a valutare le auto-classificazioni che produttori e distributori assegnano ai loro lavori: i film per tuttә, i vietati ai minori di 14 anni o ai minori di 18; hanno molto peso le associazioni come il MOIGE (MOvimento Italiano GEnitori) per la protezione dei minori, capaci di focalizzare l’attenzione pubblica sui temi a loro più cari e di decretare il successo o l’insuccesso di un format.

Numerose campagne pubblicitarie sono passate sotto questo cribro, alcune ne sono rimaste imbrigliate e lì sono morte, altre ne sono uscite modificate. Fra i nomi più illustri vittime di censura, quello di Oliviero Toscani che, con i suoi manifesti provocatori, ha creato non pochi grattacapi a Benetton: il bacio fra una suora e un prete per esaltare il contrasto fra l’abito nero di lui e quello bianco di lei è del 1991. Ma le allusioni sessuali non sono le uniche a contrariare. Per rilanciare la propria immagine, la Valle D’Aosta aveva cercato una svolta giovanile lanciando una serie di annunci dal titolo PimpMyValley e un sito con rapper e ballerine sulle piste da sci: tutto oscurato, perché incoerente con l’identità della regione. E siccome Paese che vai, sensibilità che trovi, nel 2016 il Moms Demand Action ha commissionato la campagna Choose one in cui ci si chiede se è più pericoloso l’ovetto Kinder – invendibile in USA per le dimensioni delle sorprese che potrebbero essere ingerite – o un fucile d’assalto, facilmente acquistabile in ogni armeria degli States. Paragone decisamente poco apprezzato dall’ente censorio americano, che ha insabbiato tutto.

Sembra proprio che il metro di giudizio per l’adeguatezza di una campagna pubblicitaria venga steso assecondando i valori fondanti di ogni Paese, e infatti in Italia – con tutta la nostra retorica sulla famiglia – si pensa sempre ai bambini: proteggendoli senza mai educarli. Meno male che ci pensa Sex Education.

Immagine di copertina da facebook.com, immagine nel testo da thewalkoffame.it, movieplayer.net, vitobiolchini.it, cloudfront.net