«Mi sono sempre chiesta chi porta il lenzuolo bianco dopo una sparatoria».
«Di solito i vicini, no?»
«Sì, ma il primo che trovi in casa dovrebbe avere una decorazione a fiori. Invece c’è sempre quel lenzuolo bianco».

Così commentano le persone che osservano la polizia muoversi intorno all’ennesima vittima di omicidio avvenuto nelle strade di Ciudad Juarez, in Messico, la città più pericolosa del mondo. Una città nota per la violenza e i femminicidi, dove quasi ogni giorno scompare una donna mentre i muri si riempiono di manifesti con la scritta «L’hai vista?» e l’unica soluzione offerta è un coprifuoco per le sole donne.

Ciudad Juarez è però anche la città delle luchadoras Baby Star, Lady Candy e Mini Sirenita, tre lottatrici di lucha libre, il wrestling messicano, raccontate nel documentario Luchadoras di Paola Calvo e Patrick Jasim. Tre donne che, nella fatica della vita quotidiana in cui sono immerse, si ritagliano dei momenti per diventare dei personaggi mitici sul ring. Personaggi che la folla acclama e ama, che si esibiscono in finte lotte dove però le botte sono vere e che sfidano l’idea stereotipata della donna messicana.

Mini Sirenita sogna di lasciare il lavoro in fabbrica e diventare una lottatrice a tempo pieno. Lady Candy lotta sia sul ring sia con la burocrazia mentre cerca di trovare il modo di attraversare il confine con gli Stati Uniti per riprendersi le figlie rapite dall’ex marito. Mentre Baby Star prova a riconquistare il primato raggiunto come giovane stella del wrestling, dopo essere diventata una altrettanto giovane madre single.

Luchadoras è un film che non si tira indietro dal raccontare l’orrore ma che non cede mai nel voyeurismo della violenza. Forse perché le protagoniste e le persone che girano loro intorno conoscono molto bene la realtà che le circonda e cercano di non lasciarsi sopraffare. Anzi, cercano di ritagliarsi comunque un loro spazio dove esprimersi e dove, come nel caso delle protagoniste, poter eccellere.

Anche se è chiaro che il wrestling è uno sport coreografato e guidato dalla necessità di fare spettacolo, è difficile sentirsi a proprio agio osservando queste donne che si tirano per i capelli, crollano al tappeto con violenza e si picchiano colpendosi con delle sedie. Eppure al tempo stesso c’è qualcosa di catartico nel vedere una donna che poco prima aveva raccontato dell’ex marito violento mentre esprime sul ring una completa consapevolezza del suo corpo, del suo ruolo e della sua forza. I loro nomi sono delicati e alcune di loro tengono sempre la maschera da combattimento perché si vergognano a mostrare il viso. Ma il sangue che alla fine di un incontro cola sul loro sorriso orgoglioso mostra sia la loro vulnerabilità sia la loro forza.

Ed è probabile che in modo simile si sentano anche le donne che vanno ad assistere a questi spettacoli e che si riuniscono per fare il tifo, godendosi in questo modo una narrazione delle donne diversa da quella che trovano sui giornali. Così, in un mondo dominato dal maschilismo e dalla violenza, il film mostra delle famiglie che ruotano fortemente intorno alle donne – madri, figlie, sorelle, amiche –, alla solidarietà femminile e ai tentativi di emancipazione. Una comunità di donne che poi scende anche in strada per protestare contro la violenza. E insieme a loro ci sono le luchadoras che sanno che a volte si lotta anche tenendo in alto un cartello per strada.