di Laura Bortolotti e Maria Laricchia di Lesbiche Bologna
Oggi è il 27 gennaio, il Giorno della Memoria in cui ricordiamo le vittime dell’Olocausto. Durante le commemorazioni che celebrano la ricorrenza, le lesbiche non sono quasi mai rappresentate tra le soggettività perseguitate, eppure molte di loro sono morte nei lager, sia in quanto lesbiche, sia perché donne non conformi al ruolo di genere che la società imponeva loro. La scarsa informazione sulla persecuzione delle lesbiche durante il regime nazista rappresenta l’ennesimo caso di invisibilizzazione del lesbismo nella storia. Il regime nazifascista non stigmatizzava né puniva l’amore tra donne quanto quello tra uomini, ma questa apparente tolleranza era dovuta solo alla scarsa considerazione di cui godevano le donne e della loro minore rilevanza nella vita pubblica; inoltre, in molti casi, l’orientamento lesbico coesisteva con l’essere mogli e madri – l’unica funzione sociale riconosciuta alle donne – e perciò era tollerato.
Tuttavia, anche le lesbiche furono perseguitate e uccise dal regime nazifascista. Quando non nascondevano o non rinnegavano il proprio orientamento, venivano rinchiuse in ospedali psichiatrici e costrette a seguire programmi di rieducazione. Anche le donne che, indipendentemente dall’orientamento sessuale, non si adeguavano al ruolo assegnato dalla società, erano perseguitate come pazze e rivoluzionarie. Lesbiche e donne non conformi furono dunque deportate nei campi di concentramento assieme ad altre soggettività e identificate con il triangolo nero assegnato alle persone cosiddette asociali: persone in conflitto con l’ideologia del regime nazifascista per idee politiche, condizioni fisiche, razza, identità. Così come nella società, anche la presenza delle lesbiche nei lager era quindi nascosta. Il triangolo rosa era riservato agli uomini omosessuali, mentre le lesbiche erano considerate insignificanti in quanto donne e inutili alla società perché non asservite alla norma eterosessuale e ai compiti riproduttivi.
Il campo di Ravensbrück, un villaggio situato a 80 km a nord di Berlino, fu edificato ufficialmente per la detenzione preventiva femminile; in realtà fu usato dal Reich per torturare ed eliminare le donne considerate inutili. Erano donne disabili, oppositrici politiche, mendicanti, Rom, testimoni di Geova, lesbiche, prostitute. Il campo imprigionò oltre 130 mila donne, di queste ne morirono circa 90 mila. Molte furono vittime di sevizie e oggetto di sperimentazioni pseudo-scientifiche, altre costrette ai lavori forzati o alla prostituzione nei bordelli dei lager. Le donne con disabilità erano le prime a morire a causa delle loro precarie condizioni fisiche e alle torture a cui erano sottoposte. Le testimonianze parlano di mutilazioni, stupri, aborti e sterilizzazioni forzate, bambini appena nati calpestati dalle guardie davanti agli occhi delle proprie madri.
Non si conosce esattamente il numero di lesbiche presenti a Ravensbrück o in altri campi: come abbiamo detto, nella maggior parte dei casi il loro internamento avveniva con motivazioni ufficiali diverse dall’orientamento sessuale. Ravensbrück stesso era poco conosciuto e le vicende che vi sono accadute sono tra quelle che ricorrono meno nelle commemorazioni. Dopo la liberazione, le stesse sopravvissute si vergognavano di raccontare, perché spesso erano considerate complici del regime a causa della prostituzione forzata e venivano accusate di essersi concesse volontariamente.
Le notizie sulla presenza delle lesbiche nei campi di concentramento hanno iniziato a emergere solo di recente grazie all’opera di alcune studiose come la giornalista Sarah Helm (Ravensbrück: Life and Death in Hitler’s Concentration Camp for Women, 2016) e, in Italia, Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi (R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista, 2010).
Mentre ricordiamo le persecuzioni di ieri è importante denunciare quelle di oggi. Esistono ancora molti luoghi nel mondo in cui essere lesbica è motivo di persecuzione; ci sono Paesi, anche in Europa, dove è ancora praticata la sterilizzazione forzata delle donne con disabilità; esistono politiche che ostacolano il diritto delle donne a una vita indipendente, limitandone la libertà e l’autodeterminazione. È importante nominare l’uccisione di Mahsa Amini e la situazione delle donne in Iran, per le quali la trasgressione alle politiche repressive viene punita con la tortura e la morte, ma anche in Italia la violenza sulle donne è all’ordine del giorno e i femminicidi sono sempre più frequenti. Permane una matrice fascista di oppressione e persecuzione accanto alla violenza sistemica dei regimi cosiddetti democratici, del capitalismo neoliberista, dei regimi fondamentalisti in tutto il mondo. La memoria è fondamentale per evitare che analoghe persecuzioni vengano ripetute e per far sì che chi le ha subite non continui a rimanere invisibile.
Nel Giorno della Memoria, noi di Lesbiche Bologna combattiamo per ricordare le lesbiche internate e uccise nei lager nazisti. Per questo motivo abbiamo proposto al Comune di Bologna di realizzare un monumento commemorativo dedicato alle soggettività identificate con il triangolo nero; un monumento che venga inserito all’interno dei percorsi ufficiali del Polo della memoria, al pari di quello di altre soggettività perseguitate. Un monumento che sia simbolo di memoria, ma anche di resistenza: le testimonianze delle sopravvissute di Ravensbrück ci riportano anche forme di solidarietà tra le donne internate. Il bellissimo film Nelly & Nadine, proiettato allo scorso Some Prefer Cake – Bologna Film Festival, racconta una vera storia d’amore nata nel campo e sopravvissuta dopo la liberazione.Così anche noi oggi siamo chiamate a fare resistenza. Dobbiamo essere le partigiane del nostro tempo. Fare resistenza vuole dire avere il coraggio di essere non conformi e di citarsi come tali; vuol dire contribuire a costruire una cittadinanza informata che sappia cos’è la violenza contro le donne, l’abilismo, il razzismo, che sappia combatterli e prendere una posizione netta; vuol dire fare politica per strada, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle piazze. Per questo ci piace pensare che un giorno, in una nostra strada o in una nostra piazza, sorgerà un monumento che ricordi i triangoli neri, che ricordi le lesbiche, le donne non conformi che sono state vittime del nazifascismo, ma che sono state anche portatrici di resistenza. Che si sono opposte alla normatività che le voleva solo mogli e madri e che considerava le loro esistenze inutili. Un monumento che ci ricordi che siamo esistite, che abbiamo resistito e che ancora resistiamo.
Immagine in evidenza da wikipedia.org, immagine nel testo da wikipedia.org e da someprefercakefestival.com
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