Nel 1891 in Nicaragua viene approvata una legge che consente, previo parere medico, l’aborto terapeutico. Una misura assolutamente all’avanguardia nel riconoscimento dei diritti riproduttivi, considerato che tra i primi paesi a legalizzarla ci fu l’Unione Sovietica ben trent’anni più tardi. Eppure se oggi si fa una veloce ricerca in internet con le parole chiave “aborto” e “Nicaragua”, si apprende che, a seguito dell’approvazione nel 2008 di una legge per la penalizzazione totale di questa pratica, la legislazione del Paese è identica a quella dello Stato Vaticano. Che cosa ha potuto produrre questo risultato? 

Abbiamo avuto l’opportunità di fare queste e altre domande a cinque attivistə centroamericanə che hanno partecipato al progetto Centroamerica Diversa di Arcigay e Terra Nuova, quando hanno visitato il Cassero il 22 novembre dello scorso anno: Xiomara Rodriguez, della Ong Terra Nuova, Armando José García (nome di fantasia), attivista gay e parte della Red Desarrollo Sostenible oltre che perseguitato politico da parte del governo nicaraguense, Esteban Gonzalez, attivista queer di Lambda in Guatemala, Gabriela Redondo, attivista trans del Colectivo Unidad Color Rosa in Honduras, e Britany Castillo, attivista trans di ASPIDH-Arcoiris Trans in El Salvador. 

Nei Paesi del Centroamerica da cui provengono lə attivistə, complice una struttura democratica compromessa a diversi livelli, una serie di problemi strutturali legati alla violenza armata del narcotraffico e alla povertà diffusa, il riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQ+ e la protezione dalla violenza omolesbobitransfobica sono estremamente carenti. Tuttavia, nel dialogare con loro si è provato ad adottare una lente diversa rispetto a quella dell’avanzamento sul piano dei diritti in ottica comparativa (Paesi arretrati vs Paesi avanzati), e questo è stato possibile grazie agli sguardi politicizzati dellə intervistatə. Armando, che non è potuto comparire in nessuna delle foto pubbliche del progetto per motivi di sicurezza personale, ci ha raccontato con quanta efficacia nel 2008 il governo autoritario di Daniel Ortega sia riuscito a spaccare il fronte femminista e quello LGBTQ+ nicaraguense, presentando una legge per la depenalizzazione dei rapporti omosessuali – criminalizzati sin dagli anni Ottanta – e contemporaneamente vietando l’aborto in ogni circostanza. 

In Honduras e in Guatemala invece, come hanno spiegato Esteban e Gabriela, il governo ha approvato congiuntamente provvedimenti per ostacolare la legalizzazione dell’aborto e del matrimonio egualitario, su pressione di gruppi di estremisti religiosi sempre più presenti e organizzati nei due Paesi. In Honduras, la legge che ha reso incostituzionale legalizzare l’aborto è arrivata subito dopo la legalizzazione della stessa pratica in Argentina. 

Rimanendo sul tema dell’autodeterminazione, l’unico Paese ad avere una forma parziale di riconoscimento per i percorsi di affermazione di genere è proprio l’Honduras, dove però l’applicazione della legge incontra molti ostacoli a causa della dilagante transfobia. In Honduras, dove nel 2021 ci sono stati più di 30 casi di omicidi a sfondo omolesbobitransfobico, durante il colpo di stato del 2009 i militari uccisero Vicky Hernandez, un’attivista trans del Colectivo Unidad Color Rosa, della cui morte la Corte Interamericana dei diritti umani ha formalmente ritenuto responsabile lo Stato honduregno. L’elezione della prima presidente donna, Xiomara Castro, ha ridato speranza all’attivismo per i diritti in Honduras, ma molte delle azioni di Castro rivelano già una stretta alleanza con i gruppi religiosi e un margine di manovra molto ristretto sulle azioni concrete. 

La violenza contro le persone LGBTQ+ rappresenta un problema per tutti i Paesi del Centroamerica, soprattutto per le persone trans, la cui unica opportunità di guadagno rimane quasi esclusivamente il lavoro sessuale, come denuncia Britany, membro del tavolo istituzionale composto da tutte le associazioni trans di El Salvador per l’approvazione di una proposta di legge per l’affermazione di genere. 

A questa situazione di non riconoscimento e di violenza strutturale, si sommano le condizioni di indigenza in cui vive una larga parte della popolazione di questi Paesi, i cui governi continuano a disporre delle risorse naturali – l’acqua, i minerali, le foreste – in maniera poco sostenibile e democratica, senza tenere conto dell’interesse della cittadinanza. Spesso, denuncia Esteban, i progetti di legge contro le donne e la comunità LGBTQ+ vengono usati come strumento per distrarre l’opinione pubblica o indirizzare la rabbia sociale nei confronti delle minoranze, mentre alla popolazione vengono strappate le terre e le libertà civili, in nome di uno sviluppo capitalistico che beneficia un’elite ristretta o interessi internazionali. 

Il progetto Centroamerica Diversa, che vede in partenariato Arcigay Nazionale e la ONG per la cooperazione internazionale Terra Nuova, ha l’obiettivo di fornire alle associazioni del territorio strumenti sempre migliori per portare avanti la propria lotta, sia da un punto di vista materiale che di rete. Il viaggio in Europa dellə cinque attivistə ha compreso le tappe di Roma, Bologna, Modena, Milano e Bruxelles e ha previsto l’incontro con le realtà locali – Cassero, Mit e Plus – in un’ottica di scambio di pratiche e di esperienze di grande impatto sia per le attiviste bolognesi che per quelle d’oltreoceano. Il lavoro di cooperazione internazionale, se fatto davvero in rete con i movimenti dal basso ascoltando e rispondendo a bisogni reali, è una delle poche risorse che le realtà LGBTQ+ possono avere in un contesto che non le riconosce e spesso le contrasta attivamente. Il messaggio di vicinanza e responsabilità reciproca che ci siamo scambiatə a Bologna resterà con noi per molto tempo ancora.