Ischitane. Bella la ceramica sulla porta, quando vado da Tonino e devo scendere, entro sempre lì. Una volta vi ho trovato anche un signore straniero, forse non sapeva che, in italiano, la finale “e” identifica plurale femminile e la “i” plurale maschile.

Non si scompose nemmeno più di tanto quando il suo sguardo, dopo avermi risalito dalla base dei tacchi fino agli occhi, incrociò qualche elemento di dubbio sulla mia genetica. Erano i miei tacchi, il pomo d’Adamo o lui a non essere formalmente coerenti con il posto? O Io?

E non ero nemmeno appariscente come Kelly Lauren, la transgender americana che a Houston, dopo la bocciatura dell’omonima Equal Rights Ordinance (HERO) che avrebbe comportato, tra l’altro, il diritto per le persone T* a utilizzare i bagni corrispondenti alla propria identità di genere, se ne è uscita su Instagram in un bagno di maschioni chiedendo “Houston, vuoi veramente che vada nello stesso bagno di tuo marito o del tuo ragazzo?”.

Brae Carnes è invece meno vistosa, è una ragazza normale, incidentalmente T*, una delle tante che ha cercato di mostrare pubblicamente il non senso dell’obbligo a entrare in quella stanza che non è sua, riconoscendo che le sia sempre andata bene e che non abbia mai avuto problemi. Sì, perché bullismo, discriminazione, vessazioni e violenze continuano a essere all’ordine del giorno, in ogni parte del mondo. Gugolate.

Ordinaria quotidianità. Di noi che non siamo vistos* ma che giriamo quasi sempre con un implacabile faretto a illuminarci, sia quando siamo forti della nostra favolosità sia quando magari ci facciamo qualche scrupolo, che sarebbe fantastico fosse solo per pudore, nostro, e non anche, purtroppo, spesso per paura.

Perché le grandi battaglie, il volare alto, la lotta di classe e la partecipazione, sono tutte belle cose che danno spesso un senso alla tua vita, ma quando la deve fare, una persona T*, dove va?

Pensare di vivere in un mondo dotato dell’intelligenza della Pratica (buon senso?), dicesi toilette neutrali, è oltre l’utopia quando c’è gente che va in isteria per il gender o che mette a ferro e fuoco il pianeta per due vignette del cazzo. Possiamo sperare in Teagan Widmer, una donna T* amministratrice di una società che sviluppa una app per trovare i bagni gender neutral, oppure nella Newcastle University che ha sviluppato una app analoga.

In India non ci sono le Specifiche Formazioni Sociali perché i matrimoni same sex non sono permessi; in compenso le persone T* dal 15 aprile 2014 sono riconosciute come Other Backward Class, gruppi sociali svantaggiati, che quindi godono di misure governative speciali, come l’opzione transgender nei moduli per documenti, reparti appositi nelle strutture ospedaliere e bagni pubblici riservati.

Non male per un paese che vanta l’International Museum of Toilets a Delhi, dove si può ammirare il cesso Harrapan, un sanitario dalle sembianze moderne, con tanto di sciacquone, costruito da una società esistita 4.500 anni fa in India. Paese dove però, censimento 2011, la metà degli indiani è ancora obbligata a defecare a terra.

Gruppo sociale svantaggiato, specifica formazione sociale. Curioso che la classificazione di una categoria di persone sia affidata a due parole che, a pelle, non trasmettono un significato positivo. E che iniziano con la stessa lettera, “s”. Come stigma.

In ufficio abbiamo fatto la prova di evacuazione (per rimanere in tema [smiley]). Sono addetta di piano al Pronto Intervento con altri due colleghi. “Controlli tu i cessi delle donne?” “Sì, certo”.

pubblicato sul numero 10 della Falla – dicembre 2015

immagine realizzata da Bruma e Miele