Il quesito referendario proposto da Volt per abrogare parti del ddl Cirinnà fa leva su un desiderio di molte, ma si basa su presupposti sbagliati e potenzialmente pericolosi. Scopriamo perché.

Bisogna mettere subito un punto fermo in questa vicenda: il quesito referendario proposto da Uguali! – Volt  (quasi copia e incollato da quello del Partito Gay di Fabrizio Marrazzo del 2022 e già bocciato dalla Corte costituzionale) non porterà a introdurre nel nostro ordinamento il matrimonio egualitario. Anzi, è una strada che, se percorsa senza comprenderne le conseguenze e le possibili ripercussioni – anche dal punto di vista dell’opinione pubblica – può diventare molto pericolosa. Soprattutto in un periodo storico come questo. 

Prima di addentrarci nei dettagli – grazie all’analisi puntuale di Rete Lenford – può essere opportuno fare un ripasso di diritto costituzionale. Un ripasso breve, ma fondamentale: promesso.

Disciplinato all’art. 75 della Costituzione, il referendum abrogativo è lo strumento con il quale la cittadinanza può chiedere l’abrogazione – totale o parziale – di una legge. In caso di vittoria del “sì” la norma viene espunta dall’ordinamento; in caso contrario, qualora esistano, torneranno in vigore le norme precedenti.
L’iter referendario non si esaurisce con la raccolta delle 500.000 firme richieste dalla carta costituzionale: una volta depositate le firme, avvengono due forme di controllo successive.
La prima è operata dall’Ufficio centrale per il referendum, presso la Corte di cassazione, che ha potere decisionale solo sulla legittimità della richiesta (tempistiche, autenticità delle firme, ecc.); la seconda è quella operata dalla Corte costituzionale, che esercita un giudizio di ammissibilità del quesito referendario. 

Proprio su questo secondo tipo di controllo, Rete Lenford ricorda che la Corte costituzionale «ha sempre ribadito che un referendum non può essere “inammissibilmente manipolativo”: non sono ammissibili, cioè, referendum che, grazie a un intervento di “ritaglio chirurgico” sul testo legislativo, modificano a tal punto la natura abrogativa del referendum da trasformarla in natura propositiva, mirando a introdurre surrettiziamente norme nuove e generando un effetto ben diverso dall’abrogazione». Questo è solo uno dei – molti – motivi per i quali il quesito di Volt potrebbe essere bocciato dalla Consulta.
Ma quali sono, di preciso, i punti critici del quesito?

Il quesito

Per poter meglio comprendere la criticità del quesito è opportuno rileggere sia la proposta referendaria che il quesito:

«Il quesito referendario sul matrimonio egualitario propone la modifica della normativa vigente al fine di abrogare le distinzioni tra l’istituto delle unioni civili e il matrimonio civile, di fatto estendendo l’accesso al matrimonio civile anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso. L’intervento legislativo mira a garantire pari diritti e doveri rispetto alle coppie eterosessuali, in un’ottica di piena uguaglianza e non discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. L’approvazione del quesito comporterebbe inoltre l’estensione alle coppie unite civilmente della possibilità di accedere all’adozione, secondo le modalità previste dall’ordinamento per le coppie coniugate. In particolare, verrebbero riconosciute la stepchild adoption (adozione del figlio del partner) e l’adozione piena, favorendo così la tutela giuridica e affettiva dei minori già inseriti in contesti familiari consolidati.

La proposta referendaria si inserisce nel più ampio obiettivo di aggiornare il quadro normativo in materia di diritti civili, garantendo la parità di trattamento tra i cittadini e il riconoscimento giuridico delle diverse forme familiari presenti nella società contemporanea».

Ora, ripetiamo come un mantra: questa iniziativa non permetterà alle coppie dello stesso sesso di accedere al matrimonio.

Se anche si raggiungesse il quorum e i “sì” avessero la maggioranza, il primo scoglio sarebbe il codice civile che non consentirebbe l’accesso delle coppie dello stesso sesso all’istituto del matrimonio, perché l’abrogazione delle parti della legge in cui si fa riferimento alla differenza di sesso fra coniugi spoglierebbe la legge stessa di enunciati normativi di senso compiuto

Rete Lenford specifica: «Secondo la dichiarata intenzione del Comitato promotore […] l’approvazione del referendum “sul matrimonio egualitario” consentirebbe di “abrogare le distinzioni tra l’istituto delle unioni civili e il matrimonio civile” e di “garantire pari diritti e doveri rispetto alle coppie eterosessuali”, sicché vi sarebbe, “di fatto”, un “accesso al matrimonio civile” e si giustificherebbe la sponsorizzazione della proposta referendaria come “quesito referendario sul matrimonio egualitario”. 

Non è così. 

Invero – fermo restando che, per le ragioni appena viste, non si tratta di un “referendum sul matrimonio egualitarioe fermo restando che non è  concepibile un “accesso di fatto al matrimonio civile(dal momento che quell’accesso o è giuridico, cioè consentito e regolato dalla legge, o non è) – un esito favorevole del referendum non solo non eliminerebbe gravi disparità di trattamento tra coppie unite civilmente e coppie di persone eterosessuali unite in matrimonio anche in punto di filiazione, ma eliminerebbe alcune tutele oggi esistenti e introdurrebbe persino norme di applicazione impossibile, generando lacune e un assai esteso disordine legislativo e interpretativo».

I punti critici

I punti critici del quesito – che chiede l’abrogazione totale o parziale dei commi da 20 a 26 dell’unico articolo del ddl Cirinnà – non sono solo meramente lessicali.
Sebbene al comma 20, in forza della clausola di equivalenza, gli atti normativi che si riferiscono a matrimonio o coniugi deve essere inteso come riferito anche alle unioni civili, l’equivalenza non si applica né per le norme del codice civile non richiamate dal ddl stesso – con la conseguenza che le norme su matrimonio e filiazione restano appannaggio delle coppie etero – né per le norme contenute sulla legge sulle adozioni, ancora una volta rivolte solo a coppie etero.

Con l’intento di portare all’adozione piena in superamento della stepchild, Volt propone di abrogare il secondo periodo del comma 20:

«Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso […]. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».

La legge a cui si fa riferimento è quella sulle adozioni, che, ancora una volta, non verrebbero estese alle coppie dello stesso sesso, sia perché non viene richiesto di abrogare anche l’ultimo paragrafo, sia perché, come ricordato dalla Corte costituzionale, «non è ammissibile per via referendaria “confezionare” una “normativa del tutto nuova rispetto al tessuto preesistente”.
Nessuna novità sulla stepchild, dunque.
C’è poi la questione legata all’accesso alla PMA, disciplinata dalla legge 40/200 che, all’art.5, lo riserva a «coppie maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi». Il quesito non interviene anche sulla suddetta legge, pertanto l’accesso continuerebbe a essere riservato a coppie etero.
Rete Lenford lancia un allarme sul disordine normativo e interpretativo che un esito positivo del referendum potrebbe innescare:

  • i matrimoni contratti all’estero continuerebbero a essere convertiti in unione civile (non viene chiesta l’abrogazione dell’art. 32 bis della legge 218/1995);
  • i primi 19 commi del ddl Cirinnà resterebbero intatti e continuerebbero tutti ad applicarsi, comprese l’esclusione dell’obbligo di fedeltà e della possibilità del cognome comune;
  • il quesito porterebbe alla cancellazione delle norme sullo scioglimento dell’unione civile imponendo alle coppie la disciplina del divorzio e della separazione;
  • la disciplina ereditaria e quella relativa alla pensione di reversibilità non avrebbero miglioramenti (in questo matrimonio e unioni civili sono già equiparati).

Uno dei punti più spinosi è quello che andrebbe a coinvolgere le persone trans. Il comma 27 del ddl Cirinnà recita infatti che «alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi non abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile (…)». Nel quesito si chiede l’abrogazione del comma 26 che dice che «la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
L’abrogazione di questo comma però non porterebbe né alla trasformazione dell’unione civile in matrimonio – non esistono norme in tal senso – né alla conservazione dell’unione civile (che deve essere necessariamente contratta tra persone dello stesso sesso), con danni gravissimi – facilmente immaginabili – per le persone coinvolte: il partner della persona a cui sia stata riconosciuta la rettificazione anagrafica rimarrebbe senza tutele patrimoniali o ereditarie non essendoci più alcun vincolo familiare. 

Decisamente un arretramento rispetto alla situazione attuale.


La possibilità dell’effetto boomerang
Assodato che il quesito in sé è già piuttosto problematico, c’è un altro elemento da prendere seriamente in considerazione: il possibile effetto boomerang di questo referendum.
Se si raggiungesse il quorum e vincessero i “sì”, si avrebbe una situazione peggiorativa e caotica rispetto all’esistente, non potendo un referendum creare nuove norme rispetto a quelle esistenti, ma solo abrogarle in tutto o in parte.
In questo caso toccherebbe al legislatore colmare le eventuali lacune e appare difficile immaginare che il governo attuale abbia la volontà di mettere mano a una legge che già nove anni fa ha cercato di affossare con tutte le forze.
Se vincessero i “no” o non si raggiungesse il quorum, si profilerebbe uno scenario in cui a chi si oppone ai diritti civili verrebbe servito un assist fenomenale: da un lato potrebbe dire che la maggioranza si è espressa e che il matrimonio egualitario non è né la priorità del paese né una cosa condivisa, creando quindi quella che Rete Lenford, parafrasando Tocqueville, ha definito “tirannia della maggioranza avversa”; dall’altro potrebbe passare il messaggio che alla comunità LGBTQIA+ vada bene lo status quo, rimandando sine die un nuovo dibattito sull’estensione dei diritti.

La lotta senza quartiere che ha affossato il ddl Zan, l’ondata nera di omolesbobitransfobia che si sta spargendo a macchia d’olio in Europa, le aggressioni, il ritorno di fiamma (tricolore) di fascismo che di terzo millennio hanno solo l’uso dei social, i movimenti pro vita che cercano di insinuarsi ovunque: gli anticorpi a questa epidemia dobbiamo essere noi. Con i nostri corpi. Con le nostre lotte.
E ora abbiamo uno strumento fenomenale, quando usato bene: proprio il referendum.E l’8 e il 9 giugno possiamo far sentire le nostri voci.

Immagine in evidenza da lanazione.it, immagine nel testo da studiolegaleserenalombardo.it