Cos’è il 17 maggio e cosa sta diventando oggi in Italia?


Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’Omolesbobitransafobia e ricorre in occasione della decisione del 1990 di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali come codificate nel Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ndr). In quella giornata celebriamo una scelta che ha comportato un importante sviluppo nella visione sociale dell’omosessualità: una depatologizzazione, però, che le persone trans hanno dovuto aspettare per altri 29 anni, anche se incompleta perché, per garantire l’accesso a determinati trattamenti come le terapie ormonali, la disforia di genere non è scomparsa dal Dsm, ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha declassata da «disordine mentale e comportamentale» a «disturbo della salute sessuale». 

La giornata è riconosciuta dall’Onu e dall’Unione Europea dal 2004 e questo permette che la sua celebrazione penetri a vari livelli istituzionali anche in Italia. In particolare Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ndr) promuove una campagna sul tema e ogni anno il Presidente della Repubblica interviene sul tema rilasciando commenti in merito. Rimane però un riconoscimento a metà perché non esistendo una legge vera e propria sul tema rimane molta discrezionalità nell’agire politico: anche per questo uno degli articoli del Ddl Zan prevedeva che fosse istituita ufficialmente ma, come sappiamo, il tutto è naufragato. Un esempio su tutti riguarda le scuole: quasi tutti gli anni viene emessa una circolare per indicare agli istituti scolastici di promuovere attività per la giornata, tuttavia in base al colore politico queste circolari possono banalmente arrivare tardi o richiedere particolari aspetti burocratici che di fatto ne impediscono l’applicazione. 

Questo è anche un esempio di come l’attuale governo sta approcciando la nostra comunità, si finge di non ostacolare attivamente le attività delle associazioni per non intaccare il discorso pubblico, poi nella pratica si usa la burocrazia per rendere più difficile, o impossibile, muoversi. In questo senso il discorso di Meloni in occasione del 17 maggio dell’anno scorso è stato molto eloquente. 

 
Che dichiarazione ha fatto Meloni? 


Nella seconda parte del discorso Meloni ha dichiarato che avrebbe rifinanziato i centri antidiscriminazione creati da Unar. Tuttavia nel farlo ha annunciato anche un taglio del 20% dei finanziamenti, limitandone de facto le possibilità di crescita (e in alcuni casi anche di sussistenza di base). Noi ormai sappiamo quanto quei centri, come il nostro Spazio Cassero, siano fondamentali sul territorio per rispondere a moltissime richieste di aiuto di persone LGBTQIA+ che si trovano a subire discriminazioni di varia natura, eppure Meloni da un lato ha finto di riconoscere la loro importanza, mentre dall’altro sta lavorando per boicottarli. 

Come mai invece sul piano locale il 17 maggio è sempre più istituzionale e abitato dal Comune?


Essendo una ricorrenza in parte istituzionale anche il Comune di Bologna la celebra ogni anno, anche come realtà comunale appartenente alla rete Re.A.Dy (Rete italiana delle Regioni, Province Autonome ed Enti Locali impegnati per prevenire, contrastare e superare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere). Tutti i comuni di quella rete organizzano attività per il 17 maggio, si tratta però sempre più spesso di iniziative di carattere amministrativo e non concordate con le associazioni. Il Comune di Bologna tende a dialogare con le realtà del territorio ospitandone delle rappresentanze per permettere loro di descrivere le attività svolte, ma sul 17 maggio rimane tutto un po’ scollegato.
Il nodo che sorge è: il 17 maggio è solo celebrazione o è anche lotta? La distinzione è doverosa perché in questo periodo la fragilità della comunità LGBTQIA+ è messa sempre più a rischio, visto che non esistono in Italia leggi che tutelino effettivamente i diritti di queste soggettività. Anche sotto il profilo della violenza che subiscono. Le istituzioni locali purtroppo possono fare poco sotto questo profilo.

Come mai le associazioni bolognesi accettano l’ingerenza del Comune sul 17 maggio mentre generalmente la rifiutano per il Pride? 


Stando alla mia esperienza di attivismo si può affermare che, come dicevo, il 17 maggio non viene rivendicato come momento di lotta. Ormai quasi solo le associazioni più istituzionali lo celebrano e questo è sicuramente legato a doppio filo con l’istituzionalizzazione del processo. È concepito in modo diverso da un Pride, che nasce da una rivolta spontanea.


Forse le persone LGBTQIA+ hanno più voglia di lottare che di celebrare? 


Sicuramente nel nostro paese non c’è una cultura delle istituzioni accogliente rispetto alle istanze LGBTQIA+. Ne consegue che le attiviste fanno più fatica a ragionare su quanto ci sia da celebrare. Al Pride invece il sentimento chiave è la rabbia, questo fa una notevole differenza. Ha comunque molto senso celebrare pezzi di storia del movimento, sono pietre miliari rispetto alle quali è difficile tornare indietro.


Davvero non si torna indietro? Possiamo considerare alcune cose come raggiunte per sempre? 


In effetti dipende, se pensiamo al 17 maggio e alla depatologizzazione forse per l’omosessualità sì, è difficile tornare indietro. Ma la comunità Trans* ad esempio, anche se ufficialmente depatologizzata, subisce un percorso complessissimo di medicalizzazione e criteri diagnostici. Anche da questo deriva che non abbiamo molto da celebrare. Ancor di più nell’attuale contesto politico in cui vediamo messe sempre più in discussione le nostre istanze.


Potremmo dire che le istanze delle persone trans* siano l’attuale fronte d’onda del movimento? 
Lo sono sicuramente e dovrebbero esserlo anche il 17 maggio, nell’ottica di usare il discorso della depatologizzazione per allargarlo. Come comunità non penso che ci si debba fare guidare dagli attacchi quotidiani e dai titoli di giornali, ma dobbiamo sempre porre attenzione a quello che c’è dietro: un discorso più complesso che cerca di attaccarci e ridurre la nostra complessità. Non è così lontano il discorso della famiglia nucleare da chi vuole bloccare i percorsi ormonali per persone minori. Di fatto è possibile identificare tendenze che non si presentano come isolate ma che compongono un discorso unitario. E il tutto al momento avviene, come dicevo, sottobanco rispetto al discorso pubblico. Sicuramente c’è più rabbia che gioia in questo momento.

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