di Giancarlo Furfaro e Andrea Cioschi

Direttamente dal Pride Photo Award di Amsterdam per Gender Bender 2016, si è aperta ieri al MAMbo di Bologna la mostra Out Frames, importante selezione di opere fotografiche provenienti da tutto il mondo che racconta le molteplicità LGBTQI. Un percorso affascinante che stupisce per il sapiente connubio tra attenzione alle specificità di contesti sociali solo in apparenza lontani e ricerca artistica legata ai linguaggi più stringenti della contemporaneità. Out Frames è visitabile fino al 27 novembre.

Dagli USA al Vietnam, dalla Francia al Bangladesh, dall’Italia al Messico, dall’Olanda alla Cina, passando per la Turchia, il Belgio, la Romania, l’Iran, il Regno Unito, la Svezia e l’Ucraina, Out Framesselezione di più di quaranta opere fotografiche insignite del Pride Photo Award di Amsterdam, in mostra al MAMbo di Bologna nell’ambito di Gender Bender 2016 – costituisce un’entusiasmante ricognizione delle innumerevoli declinazioni dell’essere gay, lesbica, bisessuale, transessuale, intersessuale nei più diversi contesti sociali e geografici. Gli scatti presenti in mostra restituiscono in modo potente e immediato la visione caleidoscopica di quanto l’identità LGBT+ non sia cristallizzata in poche rassicuranti macrocategorie, ma si articoli in dipendenza di mutevoli fattori nelle realtà più variegate e spesso sconosciute al grande pubblico. Uno degli effetti che le fotografie selezionate per questa mostra producono è non solo quello di aprire alla conoscenza delle variegate identità di genere in esse rappresentate, ma di instillare nel visitatore la certezza che la mostra stessa non sia sotto questo aspetto esaustiva e che l’identità LGBT+ sia per sua natura così multiforme e in continuo divenire da non poter essere conosciuta – e fotografata – nella sua interezza.

Out Frames apre una serie di squarci visivi su un universo di cui facciamo parte e che è tutto da conoscere, mettendoci con un solo sguardo a contatto con l’identità e il vissuto dei soggetti protagonisti della mostra e dandoci al tempo stesso la consapevolezza, in alcuni casi anche drammatica e disturbante, del contesto sociale e culturale in cui si muovono, spesso segnato da violenza e sofferenza. Si va dalla bambina transessuale undicenne supportata dai genitori nonostante l’ostilità di amici e psicologi di Marika Puicher ai kathoey (termine intraducibile indicante in modo generico persone che, pur essendo fisiologicamente uomini, hanno “un cuore di donna”) thailandesi di Jean-Michel Clajot; dall’attivista ugandese costretto a fuggire dal proprio paese per scampare alla pena di morte di Bénédicte Desrus, agli hijra del Bangladesh, transgender cui viene riconosciuto un valore spirituale ma spesso emarginati, di Anna Wahlgren.

È ancora la già citata Bénédicte Desrus a farci fare la conoscenza, in una serie di scatti dalla vivacità contagiosa, di Samantha Flores, attivista transessuale ultraottantenne fondatrice di un rifugio per gay anziani a Città del Messico, mentre Nikola Okin Frioli ci introduce nel mondo dei muxhes, uranisti della regione di Gavaca nel Messico meridionale visti non solo come simboli di buona fortuna ma parte integrante del governo locale. Già solo da questi rapidi accenni è evidente l’approccio multiculturale della mostra, imprescindibile in un’epoca quale la nostra in cui il mondo è un immenso villaggio globale in cui tradizioni e storie differenti coesistono e vengono a contatto per arricchirsi reciprocamente, ma le fotografie selezionate bombardano il visitatore di input e stimoli che invitano attraverso l’uso di chiavi di lettura diversificate anche per età o estrazione sociale all’abbandono di qualsiasi stereotipo. Così da un lato Pariza Taghizadeh condivide la poesia e la libertà del suo bambino di cinque anni innamorato della bellezza di oggetti comunemente associati alle bambine, e Pixy Liao scherza insieme al suo compagno sulle possibilità alternative nell’ambito di una coppia eterosessuale, dall’altro L Weingarten ci costringe a rivivere la sofferenza provata dai suoi soggetti transgender a causa della curiosità altrui rendendola tangibile tramite gli icastici cartelli che questi stessi soggetti esibiscono al nostro sguardo, mentre Tatjana Pitt usa lo schema dei ritratti di famiglia del diciassettesimo secolo per celebrare coppie dello stesso sesso e ritrarre soldati LGBT+ trattati come persone di serie B dallo Stato per cui rischiano la vita.

Out Frames è al tempo stesso un tentativo di visione complessiva e un’analisi al microscopio dell’identità LGBT+ e non solo; viaggia nello spazio, attraverso i continenti, ma anche nel tempo, dall’attualità più stringente al passato ancora prossimo fino a quello remoto delle civiltà precolombiane; e si impone come un mosaico suscettibile di arricchirsi di tessere sempre nuove, nonché come un invito all’abbandono di qualsiasi preconcetto in nome della libertà e della bellezza dell’essere umano in tutte le infinite e possibili sfaccettature della sua identità.

Out Frames è visitabile fino al 27 novembre, alle ore 22, presso il MAMbo (via Don Minzoni, 14, Bologna).

Per saperne di più

Out Frames

Il programma completo di Gender Bender 2016

MAMbo

Pride Photo Award