IMMANUEL CASTO E LA COMUNICAZIONE
di Gianluca Paudice
Un montaggio biografico su Manuel Cuni, bergamasco migrato a Bologna, cantante, grafico, imprenditore ma anche gattaro, nerd ed ex adolescente disadattato. Mi accoglie prima Calzetto, il suo gatto nero che si fa accarezzare per tutto il tempo dell’intervista, mentre noi mangiamo zenzero candito.
Da adolescente ero un po’ sfigatello e il fatto che mi ero dichiarato gay non aiutava: una volta in un ora di buca a scuola una ragazza cercò di tenermi fermo mentre un altro cercava di versarmi dell’acqua in testa; per liberarmi le diedi un morso e lei il giorno dopo non venne a scuola perché sosteneva che le avessi passato l’HIV. Andò in paranoia perché il medico le disse che se nella pelle c’erano abrasioni e io avevo delle ferite in bocca era possibile che gliel’avessi trasmesso.
Iniziai a scrivere canzoni, a fare teatro, i primi concerti in qualche pub per gli amici. Già a quell’età avevo il gusto per l’eccesso, volevo raccontare la società così come la vedevo: senza il filtro del perbenismo e senza compiacere gli altri o la morale corrente. Non è una scelta artistica, è proprio una questione estetica: sono cresciuto con le lamette di Rettore, Elio, Jo Squillo, Cicciolina e il muscolo rosso. Mi piaceva che riuscissero a veicolare contenuti così forti e a stare sul palco del Festivalbar, a essere mainstream. Oggi non sarebbe pensabile un artista che esce da X-Factor cantando «Violentami sul metrò», siamo diventati molto più convenzionali.
Nella vita privata sono piuttosto morigerato: passo le giornate tra palestra, cene, telefilm, il gatto e l’azienda che produce giochi da tavolo che ho fondato dopo il successo di Squillo; non esco molto nei locali perché se voglio fare la cretina non riesco a lasciarmi andare, mi sembra che anche quello sia un lavoro e mi blocco un po’.
La cosa a cui non rinuncio mai sono gli incontri di gioco settimanali con gli amici, in cui do il meglio e il peggio di me. Il gioco è una palestra emotiva, dove si da libero sfogo a sentimenti che normalmente non sono accettati. Rabbia, rivalità, competizione e tradimenti fanno parte del gioco, e trovo bellissimo poterli esprimere in modo sano.
pubblicato sul numero 4 della Falla – aprile 2015
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