Il tabù delle mestruazioni tra politica e storia

Ѐ di poco tempo fa la notizia che per la prima volta in un comune italiano è stata abolita l’Iva sugli assorbenti, per la precisione a Firenze, a seguito alla proposta della consigliera del Partito Democratico Laura Sparavigna. Si era iniziato a parlare di Tampon Tax e della sua iniquità già nel 2016, quando Giuseppe Civati e Beatrice Brignone, insieme a una ristretta schiera di deputatə, avevano lanciato in Parlamento un disegno di legge per la sua abolizione. Pur ampiamente derisa dall’opinione pubblica, nei fatti la questione era stata sollevata e la battaglia diventò di moltə. A livello nazionale Brignone, attuale segretaria di Possibile, prosegue nella lotta e dal giugno 2019 le campagne social e la petizione di Onde Rosa – gruppo di ragazze tra i 20 e i 30 anni – hanno permesso di dare notevole risonanza all’argomento. Ora cominciamo a intravedere i primi frutti, tra provvedimenti politici e iniziative commerciali, come Close the gap: riduciamo le differenze, evento promosso quest’anno dalla Coop in occasione della Giornata Internazionale della Donna. 

Ma siamo nel 2021 ed è grave dover gioire di parziali conquiste come queste. Perché diciamocelo: le mestruazioni sono ancora un tabù. Annoverati tra i beni di lusso, in Italia gli assorbenti sono tassati più del tartufo, la cui Iva nel frattempo è stata dimezzata al 5%. Capiamo così che in un Paese dell’Occidente industrializzato provvedere dignitosamente al periodo mestruale non sia cosa scontata, e si parla infatti di period poverty. Oltre ai vari gap di genere teniamo conto anche di questo e di come si è acuito ulteriormente durante la pandemia. 

L’organizzazione benefica Sanitation First ci ricorda poi, con il lancio del progetto CODE RED e della campagna social in cui utilizza l’opera femminista di Barbara Kruger (Your body is a battleground), che le mestruazioni in alcuni Paesi rappresentano ancora un vero e proprio stigma. Ѐ il caso dell’India dove una donna su cinque abbandona i banchi scolastici per mancanza di un’adeguata informazione individuale, preparazione del personale scolastico (è del 2017 la notizia di una bimba di 12 anni suicida dopo un rimprovero a scuola correlato al ciclo) e disponibilità di servizi e prodotti igienici, da cui derivano gli altissimi tassi d’incidenza d’infezioni e malattie uro-vaginali.

Il 28 maggio è la giornata mondiale dell’igiene mestruale, istituita nel 2014 grazie all’azione di Wash United, organizzazione no-profit tedesca che si occupa di approvvigionamento d’acqua e servizi igienici nei Paesi in via di sviluppo. La no-profit insieme ad altre associazioni ha ritenuto fosse doveroso fare informazione per colmare questo divario. Come abbiamo visto, il ciclo viene trattato ancora come qualcosa di cui doversi vergognare, addirittura da nascondere

Gap sanitario, economico e sociale. Non solo: le mestruazioni sono in primo luogo un tabù culturale. Gloria Steinem scriveva nel 1978 If men could menstruate: «Clearly, menstruation would become an enviable, worthy, masculine event» (Le mestruazioni diventerebbero un invidiabile evento mascolino di cui vantarsi). Nel 2021 possiamo aggiungere «Not all women have periods. And not all who have periods are women» (Non tutte le donne hanno il ciclo e non tutt* quell* che hanno il ciclo sono donne). Di questo ha scritto ampiamente Leonardo Arpino in Mestruazioni are for men, mostrando che una percentuale non trascurabile di Ftm o persone non binarie viva lo stigma delle mestruazioni come simbolo dell’essere socializzate femmine. 

Il tabù delle mestruazioni coinvolge trasversalmente Oriente e Occidente, Paesi poveri e Paesi ricchi. In Occidente le mestruazioni faticano a essere mostrate nelle pubblicità, riconosciute nello sport come realtà e come variabile, nominate nel linguaggio quotidiano o motivo di tutela sul posto di lavoro; i disagi e i disturbi connessi alla sindrome premestruale e a quella dell’ovaio policistico non sono ancora legittimati e trattati adeguatamente. Ma, come diceva Simone De Beauvoir, noi siamo l’Altro, e quindi possiamo essere invisibilizzate. E se l’invisibilizzazione a cui le donne sono da sempre soggette ha interessato svariati ambiti, sicuramente uno di questi è la Storia, dove sono spesso dimenticate, emarginate o rimosse. 

Le mestruazioni sono state cancellate come fattore storico. Ѐ questa la storia che ci racconta Jo-Ann Owusu nel suo articolo del 2019, pubblicato su History Today. La storica britannica sottolinea l’importanza di mettere le mestruazioni al centro di un’indagine sulla vita nei campi di concentramento, una variabile di genere che ha influenzato le modalità con cui questo evento è stato esperito. Già nel 2002 Carola Frediani, in un articolo su Contemporanea, rifletteva in parte su questo aspetto e riscontrava la mancanza di analisi in proposito che fossero precedenti agli anni ’70 e alle rivendicazioni femministe.

Questi articoli, da storica, sono sicuramente importanti e degni di nota per l’accento posto sull’aspetto sociale e antropologico delle mestruazioni, sulle strategie collettive che queste hanno contribuito a plasmare nella vita quotidiana dei campi. Il sangue e il corpo sono per le donne strumenti primari con cui abitano la società e la storia, con cui vengono definite. E spesso facendo Storia si trascura questo aspetto, finendo per  registrare gravi lacune. L’esperienza concentrazionaria femminile, ancor di più di quella di altri, ha messo al centro i corpi. Ѐ stata una battaglia di corpi e sui corpi. I corpi come oggetto, e i corpi e il sangue come salvezza.

La nudità pubblica e la trasformazione del fisico ha significato la privazione dell’identità femminile. L’amenorrea è stata percepita come una vera e propria mutilazione, un corpo invecchiato, non fertile. La presenza delle mestruazioni è invece strettamente connessa al tema del pudore. «Uno dei primi pensieri arrivando lì dentro era stato: e quando arriveranno le mestruazioni come farò?», testimonia Liliana Segre. 

Il ciclo o la sua assenza è stata una discriminante in casi di stupro o di esperimenti; per alcune, il ciclo ha anche fatto la sua prima comparsa nei campi di concentramento, dove in mancanza delle famiglie erano le altre donne a occuparsi di questo rito di passaggio,  per questo Owusu parla di «famiglie del campo», «famiglie sostitutive». Il sangue ha contribuito a creare e saldare un legame di solidarietà tra donne di tutte le età, una «sorellanza femminile». E il ritorno delle mestruazioni dopo la fine dell’esperienza dei campi è stato vissuto come una festa, una seconda liberazione. Liberiamoci anche noi una volta per tutte da questo tabù.

Foto di Domitilla