A ottobre sarebbero passati quattro anni da quando l’accesso agli ormoni per le persone trans con diagnosi è diventato gratuito, ma il governo ha cambiato idea. L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha infatti recentemente declassato il farmaco Sandrena dalla fascia A, che contrassegna i farmaci a carico del sistema sanitario nazionale, (quindi gratuiti), alla fascia C, ossia a carico dei pazienti, con un aumento del prezzo da 8€ a 18,50€. La mossa, dicono sia M. che G., due donne trans di età diverse, non arriva all’improvviso, ma era stata ampiamente preannunciata nell’aprile dello scorso anno, con la cancellazione della figura del Direttore generale, che assicurava l’autonomia tecnico-scientifica, e l’unitarietà del sistema in raccordo con Regioni e Province autonome.
A essere messo in pericolo è in primo luogo il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo, ossia i diritti riproduttivi e delle persone trans.

Sandrena è infatti un gel capace di mantenere costanti nel sangue i livelli di estradiolo (uno tra gli estrogeni più importanti), e viene somministrato sia alle donne cisgender e persone con utero per ridurre i dolori della menopausa, sia alle persone trans in terapia ormonale femminilizzante. Il formato gel lo rende meno impattante sul fegato, a differenza dei farmaci assunti per via orale.
«Una confezione di Sandrena contiene 28 bustine, a me dura 28 giorni perché assumo il dosaggio minimo, ma quello generico è di due bustine al giorno, quindi due scatole al mese» afferma M. «L’impatto è ovvio: nel momento in cui una persona deve pagare un farmaco a vita è un attacco alla salute della persona».
Tuttavia, non è il caso di M., né di alcune sue amiche in possesso di un piano terapeutico, che assicura che i farmaci rimangano gratuiti, a carico del Sistema sanitario nazionale. «Il problema riguarda le persone che si fanno seguire privatamente da un endocrinologo».

A questo punto sembra di aver sollevato un grande polverone per nulla. Basterebbe affidarsi a un centro, e con una diagnosi di disforia di genere, star tranquillə di aver retto ancora a un attacco del governo.
In realtà le cose sono più complicate di così: bisogna innanzitutto trovare i centri (più presenti al centro-nord, con eccezione di pochi nelle grandi città del sud), trovare l’équipe specializzata, e infine ottenere la diagnosi. Ed è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che una persona trans ai criteri diagnostici.

«Ci sono delle domande che se fossero fatte alle persone cis sarebbero considerate allucinanti, tipo: hai mai voluto tagliarti i genitali? Quanto odi il tuo corpo? Quanto detesti sudare?» mi dice G. «eppure io non solo devo rispondere affermativamente, ma devo anche fingermi la casalinga perfetta, rientrare nello stereotipo della femminilità anni Cinquanta. Se dico che mi piace mettere il choker, che sono attratta dalle donne e che sono neurodivergente, mi chiederanno se sono sicura di essere una donna».

A., G., T., L. dicono di essere nate tutte con il Sistema sanitario privato, facendo passaparola sulla psichiatra da consultare per ottenere la diagnosi necessaria senza dover aderire ai criteri di donna trans standard. «I criteri diagnostici come l’Onig (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, ndr) vanno contestualizzati a un periodo in cui il discorso era “per favore, esistiamo”. Adesso però il vissuto trans è diverso: non è più legato a contesti di ghettizzazione, siamo tutte universitarie, ci interfacciamo a persone cis, non siamo più strettamente legate alla prostituzione, e non perché non sia un tema importante,  ma perché semplicemente non ci precede più. Prima poteva andarti bene farti passare per pazza per avere gli ormoni, oggi non più».

La notizia del rincaro del Sandrena è economicamente impattante sulla vita di tutte loro, poiché tramite il percorso privato l’accesso agli ormoni avviene su prescrizione del medico, alla quale segue l’acquisto del farmaco a prezzo di mercato: «dopo questo evento qui ci siamo organizzate per aiutarci tra noi e fare informazione. Siamo anche in contatto con altre realtà come il collettivo FLIRT e Marciona e puntiamo a creare una cassa di mutuo aiuto», dice A.

«La consultazione Aifa del 2020 stabilisce sì la gratuità degli ormoni, ma non per le persone trans, ma per i centri» continua G. «molti di questi non hanno mai chiarito le loro posizioni attorno ai criteri diagnostici. Potrebbero utilizzare il Whpat (World Professional Association of Transgender Health, ndr), che è più inclusivo; invece, anche quando dicono di averlo abbandonato, continuano ad applicare l’Onig, esercitando violenza».

La paura più grande che unisce il collettivo e M., infatti, non riguarda solo gli estrogeni, ma l’accesso agli antiandrogeni, conosciuti meglio come triptorelina (Enantone), problema sorto in seguito all’ispezione all’ospedale Careggi richiesta dal capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, lo scorso 4 febbraio. «Enantone è un farmaco off-label, cioè utilizzato per scopi in teoria diversi da quelli per i quali è commercializzato, anche se adesso nel foglietto c’è scritto che è usato anche come bloccante della pubertà. Gli effetti sono reversibili, per cui nel momento in cui si interrompe la somministrazione riprende lo sviluppo dei caratteri sessuali» spiega M. Il costo dell’Enantone è di 200€. M. può accedere gratuitamente al farmaco, in quanto in possesso di un piano terapeutico rilasciato da un centro. Le ragazze del collettivo, invece, su prescrizione del privato, possono prendere Androcur, più accessibile ma con possibili effetti collaterali sul fegato e altri organi interni.

«Stiamo cercando un dialogo con i centri, come il Mit, al quale vorremmo chiedere un percorso preferenziale per accedere ai servizi ospedalieri, come l’Enantone» mi dice G.È importante, per tutte, ripartire da una rivendicazione di bisogni materiali.
La rivendicazione dei farmaci è più di una questione di ideologia e di chimica, è una questione di accessibilità a una vita dignitosa per tuttə.

Immagine in evidenza: ILO in Asia and the Pacific on openverse.org