di Ilaria Todde, EL*C

Tra luglio e agosto 2023, EL*C – la Eurocentralasian Lesbian* Community – ha lanciato una serie di azioni contro il governo Meloni svoltesi davanti alle ambasciate italiane di 12 capitali europee e mondiali. Sulla stessa scia, il 3 agosto si è realizzato un sit-in davanti al Vaticano organizzato dalle compagne di Alfi (Associazione Lesbica Femminista Italiana), di Lesbiche Bologna e della rete transfemminista di Arcigay insieme alle organizzazioni romane (Arcigay Roma e Differenza Lesbica). Queste mobilitazioni così rapide ed efficaci hanno portato Meloni a dire che «l’opposizione al governo italiano la dovrebbero fare gli italiani». Eppure, anche se Meloni non lo sa, EL*C e le lesbiche italiane sono indissolubilmente legate.

Voglio anzi dire di più: se EL*C ha la forma e i posizionamenti attuali, lo dobbiamo anche al movimento lesbico italiano e in particolare alla r-esistenza di un forte posizionamento lesbico inclusivo in Italia, in contrasto alle derive essenzialiste che hanno cercato di imporsi. Le manifestazioni europee sono state la mia occasione di riflettere su quello che sia successo negli ultimi anni tra le lesbiche italiane e su come l’identità lesbica sia ancora in grado di mobilitarci e unirci, nonostante tutto.

Il riferimento è ad Arcilesbica e in particolare al suo congresso del 2017, che ha segnato il momento in cui quell’associazione si è definitivamente arroccata nelle posizioni attuali. Io ho fatto parte di quel gruppo di attiviste che cercò di opporsi e che, com’è noto, fallì. Per me, è venuto il tempo di provare a sbrogliare la matassa di relazioni e percorsi politici che dal trauma politico di quel congresso ci ha portato ad avere un’associazione lesbica europea che ha le risorse (economiche, umane, ma soprattutto politiche) per proporre azioni come quelle davanti alle ambasciate italiane.

In estrema sintesi: dopo un lunghissimo e feroce dibattito sulla GPA, nato intorno alle discussioni sulle unioni civili nel 2016 e continuato poi per tutto il 2017, i circoli ottennero un congresso anticipato che si tenne nel dicembre del 2017 e che vide la presentazione di due tesi congressuali contrapposte. A rileggerle oggi, si vede chiaramente che, sotto alla discussione sulla GPA, si ritrovavano già tutti i temi che avremmo dovuto affrontare negli anni successivi, non ultima la questione dell’inclusione delle persone trans nel movimento lesbico. Un’analisi molto lungimirante, la fece, in quei giorni, Daniela Tomasino.

La fase pre-congressuale fu segnata da un dibattito interno, condotto a colpi di insulti e minacce di querela nella mailing list dell’associazione. Il congresso in sé si risolse poi in una tre giorni sfiancante, in cui fu subito chiaro che, indipendentemente dal risultato, l’associazione si sarebbe divisa. Alla fine, moltissime singole persone (tra cui io stessa) e interi circoli si staccarono.

Questo scritto è, per me, anche un tentativo di rompere il circolo della trasmissione mancata. Come ho sentito dire recentemente da Elena Biagini (e il titolo di questo articolo è ispirato al suo libro sui movimenti lesbici degli anni ‘70 e ‘80), «ogni 3 anni abbiamo una prima volta». A me sembra anche che ogni 3 anni facciamo il funerale all’identità lesbica. Io penso, invece, che in Italia dovremmo celebrare il modo in cui un’identità lesbica inclusiva l’abbiamo letteralmente salvata.

Il fatto che l’estrema destra stia cercando di appropriarsi dell’identità lesbica in funzione anti-trans è un fenomeno globale. L’Italia del 2016 – in cui si discutevano le unioni civili, in cui il movimento LGBTQ+ italiano era lontano dal femminismo e in cui la lesbofobia era all’ordine del giorno – era un terreno fertile e gli estremisti cattolici e di destra lo sapevano. Ricordo con frustrazione Gandolfini che chiedeva ad Arcilesbica di posizionarsi sulla GPA e l’attenzione mediatica che ricevevamo su questo tema, dopo che per anni niente di quello che le lesbiche facevano interessava ai media italiani. Poi la legge per le unioni civili passò senza il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali. Le spaccature interne ad Arcilesbica si accentuarono e si cominciò presto a discutere dell’altro tema che stava emergendo dalla schiuma dei movimenti anti-gender, il fantomatico pericolo trans e non binario.

In quegli stessi mesi, J.K. Rowling aveva cominciato a pubblicare le sue idee transfobiche, l’attenzione dei media britannici si stavano concentrando sulla «polemica tra le femministe e il movimento trans» e alcunǝ attivistǝ gay e lesbiche inglesi si erano posizionatǝ contro l’autodeterminazione dell’identità di genere. Le similitudini però finiscono qui. In Italia non si è formata una LGB Alliance e all’interno del movimento LGBTQ+ italiano “lesbica” non è diventata una parola impronunciabile.

Il fatto che oggi siamo in grado di organizzare un’iniziativa esplicitamente lesbica davanti al Vaticano, che riusciamo a farla finire sull’ANSA e sul Corriere, il fatto che esista un osservatorio sulla lesbofobia e in Italia stia avvenendo una riflessione collettiva sull’essere butch e lesbiche come un’identità di genere, non è un caso. Dobbiamo tutto questo alle attiviste italiane che hanno deciso di non lasciare l’identità lesbica all’essenzialismo e all’alleanza con i movimenti anti-gender.

Ma cosa c’entra tutta questa storia con EL*C? EL*C è nata nel 2016, quindi nello stesso periodo in cui nel Regno Unito l’aria si faceva irrespirabile e in Italia le discussioni tra lesbiche diventavano laceranti. Io ci sono finita in mezzo perché ero ancora un’attivista di Arcilesbica mandata a «fare le cose europee», in un momento in cui nessuna pensava che quelle cose fossero davvero importanti. EL*C però ha un asterisco nel nome perché nasce fin dall’inizio come risposta all’uso delle lesbiche da parte dell’estrema destra. È stata la situazione italiana a convincerci che bisognava evitare che il femminismo e il lesbismo finissero nelle mani dellǝ conservatorǝ.

EL*C è un’organizzazione che da un punto di vista della professionalizzazione deve moltissimo alle attiviste dell’Est Europa, ma dal punto di vista politico è, senza alcun dubbio, un prodotto del lesbofemminismo italiano. La sua storia è anche la storia della relazione di militanza e amicizia tra due attiviste cresciute politicamente in Italia (io e Silvia Casalino) e trasferitesi all’estero in due momenti di grandi dibattiti interni al movimento lesbico (io nel 2017 e Silvia alla fine degli ‘90). Per questo, abbiamo potuto riflettere insieme sulle cose che avevamo visto (la Seconda Settimana Lesbica) o a cui stavamo assistendo (il congresso di Arcilesbica). Adesso, in EL*C, io faccio l’advocacy, cioè, sono la persona che porta le posizioni di EL*C sui tavoli istituzionali, e Silvia è la direttrice esecutiva, ed è quindi con lei che definisco posizionamenti e strategie politiche. Le riflessioni, i conflitti e i laceramenti che abbiamo vissuto in Italia sono parte del DNA di EL*C perché li abbiamo inclusi in maniera sistematica nello sviluppo politico dell’organizzazione.

Nel dicembre del 2017, durante quel congresso, quando dissi che le modalità del dibattito interne erano state insostenibili, mi fu detto di tacere, perché «non è che Ilaria è andata in Europa, e adesso ci insegna come si fanno le assemblee». Quella frase sul momento mi ferì molto però, a distanza di qualche anno, riesce anche a farmi sorridere. Imparai tanto da quel congresso e credo di essere un’attivista migliore perché provo a evitare, sia nei modi che nei contenuti, che quel tipo di politica venga agita a livello europeo. Questo non per sminuire il costo, anche in termini di salute mentale, che ho dovuto pagare per non essermi sottratta. Però sono arrivata a realizzare che, politicamente, si è trattato di un momento di passaggio fondamentale.

Ci sono cose che avrebbero reso quel passaggio meno doloroso, non ultima una più forte solidarietà reciproca con le lesbiche che stavano fuori o che erano già da tempo fuoriuscite. Sicuramente ce ne fu, ma a ripensarci adesso, quel dialogo io me lo sarei andato a cercare in maniera più decisa. Avrebbe forse attenuato la sensazione (falsa) di essere state le sole ad aver combattuto una battaglia che investì poi l’intero movimento. Quando il dibattito sul DDL Zan ha definitivamente chiarito i posizionamenti, quella barriera costruita contro l’assimilazione totale delle lesbiche con i movimenti anti-gender ha retto impedendo che avvenisse.

È importante che raccontiamo a noi e allǝ compagnǝ queer e transfemministe che questa cosa è successa anche perché, come ricorda appunto Elena Biagini, il movimento lesbico italiano si è costruito, fin dall’inizio, in contrasto al femminismo della differenza e all’essenzialismo. È altrettanto importante che ci raccontiamo anche come, negli ultimi anni, siamo riuscite a salvaguardare uno spazio in cui si potesse fare politica lesbica (e quindi femminista) in dialogo con il più ampio movimento LGBTQ+.

È questo che fa del movimento lesbico italiano un esempio e un’ispirazione per tutta Europa. Io non so dove andremo da qui, ma sono convinta che questa sia la narrazione di cui abbiamo bisogno per continuare a riflettere intorno all’identità lesbica e, soprattutto, per non lasciarla preda delle appropriazioni di estrema destra.Come diceva Nicole Brossard «una lesbica che non cambia il mondo è una lesbica in via d’estinzione». Considerata la velocità e la convinzione con cui stiamo cambiando l’Europa (e il mondo), direi che il pericolo di estinzione è scongiurato.