di Nicola Riva

Frédéric Martel è sociologo, scrittore e giornalista. È stato ospite del Cassero in occasione di Gender Bender 2014 per presentare l’edizione italiana del suo libro, Global Gay (Feltrinelli 2014). Il libro, frutto di una ricerca sul campo ampia e molto ambiziosa, che nell’arco di cinque anni l’ha portato a visitare quarantacinque Paesi e cinque continenti, traccia un profilo completo della condizione delle persone omosessuali nelle diverse parti del mondo. Abbiamo approfittato dell’occasione per porgli qualche domanda sul caso italiano.

Nel Suo libro, Global Gay, Lei descrive la situazione dei diritti delle persone omosessuali nelle diverse aree geopolitiche. L’immagine che ne risulta vede l’Occidente all’avanguardia nella protezione di quei diritti. L’Italia rappresenta sempre di più un’eccezione. Come Si spiega questa triste circostanza?

Il Sud Africa e l’Argentina ci hanno preceduto. Dunque non è più l’Occidente a fissare i valori. Ed è questa la novità. I Paesi emergenti emergono anche con la loro cultura (tesi del mio libro Mainstream), con il loro Internet (tesi del mio libro Smart) e con i loro valori (tesi di Global Gay). All’improvviso, l’Uruguay e il Messico sono più avanti dell’Italia – è un rivolgimento storico fondamentale. Non voglio giudicare l’Italia, un Paese che amo, ma deve uscire dal clericalismo: il Vaticano non deve più fare le leggi in Italia. La laicità, il “secolarismo” (come si dice): è quella la soluzione. In Francia, abbiamo il matrimonio gay perché a partire dalla Rivoluzione francese, a partire dal Codice napoleonico, a partire dalla legge del 1905 sulla separazione della Chiesa e dello Stato, non compete più alla Chiesa fare le leggi e dire chi può sposarsi e chi no, o con chi: è il Parlamento a fare le leggi.

Sulla base dell’esperienza del Suo Paese, dove la comunità LGBT+ ha ottenuto, con il matrimonio egalitario, tutto il riconoscimento per il quale si è battuta, e dell’esperienza degli altri Paesi che ha preso in considerazione nel Suo libro, ha delle strategie da suggerire al movimento che lotta in Italia per i diritti delle persone LGBT+?

Mi sembra che la battaglia dei diritti sia una battaglia collettiva. Il movimento gay non deve farla da solo. Bisogna farla con i grandi sindacati progressisti, gli artisti, gli opinion leader su Internet, le forze politiche progressiste, i sindaci delle grandi città ecc. Inoltre, non bisogna provocare, scioccare: bisogna spiegare. È grazie ai fatti e alla comparazione internazionale che si potrà fare dei passi in avanti.

Cosa ne pensa del movimento “Manif pour tous”, che ha un equivalente (molto meno importante, per ora) in Italia nel movimento delle “Sentinelle in piedi”? È l’ultimo bastione di una società retrograda destinata a scomparire, o qualcosa che noi dovremmo temere?

In Francia la “Manif pour tous” è stata molto efficace. Ma alla fine la legge è stata votata dall’Assemblea nazionale con 331 voti contro 225, ossia con 105 voti in più del necessario. È stata una bella vittoria. Inoltre, secondo i sondaggi, i francesi favorevoli al matrimonio, che erano il 59% prima del dibattito, superano ora il 70%. Abbiamo vinto la battaglia e, come diceva la Ministra della giustizia, Christiane Taubira, “siamo fieri di ciò che facciamo”. Forse in Italia si dovrebbe iniziare dalle unioni civili, come in Francia si è iniziato con il PACS, e trasformarle in matrimonio in un secondo momento. O forse ci si dovrebbe battere direttamente per il matrimonio con l’appoggio delle forze progressiste e dell’Europa. Solo voi potere stabilire quale sia la strategia migliore, ma deve essere una strategia di lungo periodo nel Paese del Vaticano!

pubblicato sul numero 1 della Falla – gennaio 2015