La prima nazionale di Holy Camp, trasposizione cinematografica del musical La Llamada di Javier Calvo e Javier Ambrossi, è stata proiettata a Bologna in occasione del Festival internazionale Gender Bender. Per chi se la fosse persa, consigliamo vivamente la replica che si terrà sabato 4 novembre, alle ore 22:00, presso il cinema Lumière.

Il 27 settembre del 2017 un gioiellino della cultura popolare di Madrid si stacca dalla terra natìa per consegnarsi al mondo come inaspettata perla di poesia trash: La Llamada, musical undeground spagnolo, per volere degli stessi autori, diviene un film coraggioso e disinibito che in poco tempo conquista Spagna, Messico, Argentina e Russia.

Se R.osa viene inaugurato cantando a cappella Jolene di Dolly Parton, sono le note di I will always love you ad aprire quello scrigno di variopinti deliri che è Holy Camp. Ma dimentichiamo la regina del country che sembra collegare gli incipit di questo Gender Bender. È Whitney Houston, “quella nera morta da poco”, la voce di Dio. Letteralmente. Un brillante Richard Collins-Moore presta il proprio corpo a una divinità biblica eccentrica, vestita come l’avventore di un country-bar del Texas. Un Dio che ride di scherno quando lo si prega ma che non disdegna di diffondere il proprio verbo attraverso le musiche di Houston, non a caso soprannominata “The Voice” dalla profetica Oprah Winfrey.

È María, naturalmente, l’oggetto del desiderio di questo attempato Padre che è nei cieli e che vi discende da scalinate in pieno stile Las Vegas. Così come Egli è il soggetto dell’amore della giovane educanda, rinchiusa in un campeggio gestito da suore insieme a Susanna, l’amica di sempre. Un cocktail ben calibrato di droghe, alcool e ritmi elettro-latini è il gustoso cemento dell’amicizia tra le due, non senza una spruzzatina di complici evasioni e uno spicchio di immancabile voglia di successo. Sono un gruppo, María e Susanna, la cui hit è un manifesto programmatico delle loro esistenze e, a sentire Dio, dovrebbe esserlo pure delle nostre: Lo hacemos y ya vemos (“Facciamolo e poi vediamo”).

Suor Bernarda, l’indefessa responsabile del campo estivo, è personaggio a metà tra un’austera Sorella Alberta – nella fulgida interpretazione di Virna Lisi in Le ali della vita – e una scanzonata Deloris Van Cartier, Maria Claretta per le amiche del Santa Caterina. Fiera e compassionevole, Bernarda è una vera e propria coreografa del Signore, capace, con i suoi improbabili passi, di confortare persino i tormenti della deliziosa sorella Milagros (personaggio che i dispacci dei siti specializzati bollano come “una giovane suora dalla vocazione incerta”).

C’è una storia lesbica, una cuoca spacciatrice, un’improbabile colonna sonora e c’è persino un accenno di romanzo di formazione, ben nascosto ma c’è. In un climax di tormentata vocazione e spensierata tensione erotica, l’immagine che più rimane impressa è quella di un murales: una Maria Vergine d’azzurro vestita dalla cui mano sprizza, inesorabile, quell’arcobaleno capace di portare i nostri colori nel mondo.

Assurdo, non necessariamente visionario, dissacrante quanto basta: Holy Camp è un musical che ridisegna le periferie della comicità e sposta con leggerezza alcuni confini interiori. Una recitazione a tratti sopra le righe non è dissonante se calata all’interno di una produzione che fa del camp la propria cifra stilistica. Si perdona tutto, anche qualche sbavatura alla regia, nel gustoso gioco che prende vita sullo schermo. Un ninnolo divertito e divertente, che trascende la narrazione per diventare qualcosa di più, grazie alla voce pastosa di Leiva. Il timbro granuloso, sporco, che parla diretto alle malinconie che ci portiamo dentro. La sberla in pieno viso, tra le risate, che ci costringe ad ascoltare il senso verace di ogni chiamata: Hoy he sentido la llamada / Con toda la fuerza / Las luces apagadas / Y las piernas abiertas (“Oggi ho sentito la chiamata / con tutta la forza / le luci si spengono / e le gambe si aprono”).

 

Trailer del Film 

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