In programma giovedì 1 novembre ore 22.00 presso Cinema Lumière.

Anche la pornografia è cinema: anzi, ben lontano dall’essere un prodotto di nicchia, vanta una diffusione non indifferente. Scene di sesso sono oggi frequenti in film e programmi di tutti i tipi, ma Las Hijas del Fuego rappresenta un passo ulteriore: prende la pornografia e la sbatte al cinema, superando il tabù che rende imbarazzanti le scene di sesso quando si accende la tv e non si è da soli nella stanza.

La regista Albertina Carri proietta il suo pubblico in un viaggio che sembra fuori dal tempo, senza personaggi, senza dialoghi, perfino senza trama, ma focalizzandosi su un unico protagonista: il panorama. Un panorama che è mutevole e uguale, plasmato da un cast tutto di donne, di cui fanno parte Érica Rivas e Cristina Banegas, che declina la bellezza femminile in ogni sua sfumatura, abbracciando estetiche tutte diverse. Ogni corpo ha una sua specificità, ma non appartiene a nessuno, è la fotografia di uno spicchio di donna, che mescolato agli altri crea un orizzonte variegato e senza nome. Tutto è concentrato sul corpo, un corpo collettivo: “il problema non è la rappresentazione dei corpi; il problema è come quei corpi diventano paesaggi davanti alla telecamera”.

A metà fra un film erotico e la classica pellicola on the road, Las Hijas del Fuego è un climax crescente di incontri dove le figure che entrano nell’inquadratura non vengono mai caratterizzate: una coppia consolidata parte per un viaggio nel sud dell’Argentina, con l’intenzione di girare un film porno; subito le due ragazze incontrano una terza donna, assieme alla quale andranno alla ricerca di altre compagne.

Ben poche sono le informazioni, tanto che ci si trova smarriti di fronte al susseguirsi di questi corpi che si spogliano sfrontati davanti alla telecamera e anonimi per uno spettatore che non riceve niente di più che l’immagine. Il sesso prende una cadenza quasi petulante: esplicito, diretto, tanto ricorrente da svuotarsi della sua emozionalità. Un’insistenza che anestetizza perfino di fronte a dettagli sempre più variegati: corde, frustini, sex toys, ambientazioni che vanno dall’altare di una chiesa al pontile algoso di un fiume sperduto.

I colori sono annacquati, le musiche richiamano a una realtà quasi mistica, da orgia iniziatica di qualche religione esoterica. Il furgone sul quale le protagoniste si spostano sembra farsi strada attraverso l’atmosfera onirica che rivela tratti inquietanti e misteriosi.

Le inquadrature si alternano fra primi piani claustrofobici, feticisticamente dettagliati, e riprese aeree quasi pittoresche. La voce narrante fuori campo mescola cinema sperimentale e pornografia con una pennellata pastosa e decisa, dal sapore aporetico e a tratti indecifrabile. È forse proprio la netta contrapposizione fra questo gusto per l’inafferrabile e la crudezza di immagini, tanto esplicite quanto ridondanti, a valere a Las Hijas del Fuego il premio per il miglior film del Concorso Argentina nella ventesima edizione del Festival Internazionale del Cinema Indipendente di Buenos Aires Bafici.

L’immagine è diretta, la telecamera è proiettata sul corpo, ma il corpo non è lì per la telecamera: l’espressione pornografica che ci presenta Albertina Cerri non è quella patriarcale connaturata nella storia del porno, dove il corpo è lì per il piacere di chi guarda. Las Hijas del Fuego mostra il piacere, ma lo spettatore ne è estraniato; l’inquadratura è ravvicinata, lo sguardo voyeuristico, ma tutto quello che succede nelle sequenze appartiene ai corpi protagonisti, che godono solo per se stessi in un ciclo imperturbabile: chi guarda è solo di passaggio.

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