COME I MEDIA ITALIANI HANNO RECEPITO IL COMING OUT DI PAGE E CHE ESPERIENZA POSSIAMO TRARNE

Nelle scorse settimane si è molto discusso del coming out di Elliot Page. Per chi non lo sapesse, Page è un attore di origini canadesi, protagonista nel film Juno e star di Inception e della serie TV The Umbrella Accademy. Nel suo profilo Twitter, in un post del 1° dicembre, scrive infatti: «Voglio condividere con voi di essere trans. I miei pronomi sono lui/loro e il mio nome è Elliot.» Pochi giorni fa, su Instagram e su Twitter, ha voluto esprimere la sua gratitudine e la sua commozione per i messaggi e le parole di supporto che ha ricevuto da tutto il mondo in queste tre settimane dal suo annuncio: «Riguardatevi. Siateci l’un per l’altrə. Ci vediamo nel 2021» ha aggiunto.

Com’era prevedibile, il coming out di Page è stato riportato e distorto nei modi più disparati dai media italiani. Ora che il polverone sembra essersi placato, proviamo ad analizzare in maniera critica com’è andata la vicenda.

Per non dilungarsi troppo sul problema dell’uso scorretto di pronomi e dell’accordo del genere di nomi e aggettivi, basti notare che sono purtroppo circolati articoletti che definiscono erroneamente Elliot «un’attrice» e che usano i pronomi ella/lei. Inutile precisare che Page è un attore, e i suoi pronomi, come ha dichiarato, sono egli/lui o i pronomi neutri come l*i o ləi. Piuttosto, un problema subito evidente anche per le maggiori testate è stato il deadnaming. Stiamo parlando dell’uso del nome con cui una persona era conosciuta in precedenza e che ha scelto di non voler usare più (appunto, il “nome morto”). Sono infatti subito fioccati titoli scorretti come «[Deadname] su Twitter: chiamatemi Elliot». In moltə hanno difeso questa linea editoriale considerando che il deadname fosse necessario a contestualizzare di chi si stava parlando. Usare infatti solo Page, parlare di Elliot o la star di The Umbrella Accademy non sarebbe stato sufficiente per il pubblico italiano. Il problema, però, è nella forma: esistono formule rispettose, come «Elliot Page, noto (-o, non -a!) in precedenza come [Deadname], ha fatto coming out». La differenza sta nel mettere in primo piano il nome corretto dell’attore, che equivale a rispettare la sua identità di genere, e al tempo stesso riportare il deadname come una realtà che non gli appartiene, o almeno non più, che si vuole citare solo per contesto.

Ancora, il problema delle supposizioni. Continuiamo a leggere notizie come «[Deadname] dichiara: sono un uomo». Ora, l’unica dichiarazione di Page riguardo la sua identità di genere è quella sopra riportata del suo coming out su Twitter. Elliot ci ha infatti informato del suo nome elettivo, dei suoi pronomi e del fatto di essere trans*, e nient’altro. La parola è però un termine ombrello: comprende tutte le persone che non si identificano – completamente o solo in parte – nel genere che è stato loro assegnato alla nascita. Il fatto che Page abbia dichiarato di essere trans* non implica per forza che sia un uomo. Anzi, dai pronomi che ha scelto (he/they) potremmo presumere sia una persona non-binaria (che non si riconosce cioè nel binarismo di genere maschio-femmina) e masc-alligned, ovvero vicina allo spettro maschile, ma non totalmente in esso identificata. Anche queste, però, sono speculazioni, e riguardano la sfera privata dell’attore, che deve essere libero di poter condividere o meno. Allo stesso modo alcune testate, in gran parte specializzate nel settore del cinema, si sono interrogate ad esempio sul futuro di The Umbrella Accademy, dove Elliot interpreta il personaggio femminile di Vanya, ponendosi il problema della sua transizione ormonale. Ancora, Page a oggi non ha dichiarato di voler fare alcun tipo di transizione. Si può essere infatti trans* senza provare disforia né sottoporsi a transizioni di sorta. 

Ciò evidenzia in ogni caso il problema culturale in Italia della mancanza di consapevolezza e informazione riguardo le identità trans* e non binarie, così come sulla disforia di genere. Di fatto è molto triste constatare come queste tematiche siano state subito strumentalizzate per articoli click-bait: titoli palesemente sbagliati e provocatori sono spuntati come funghi per incitare commenti aberranti e visualizzazioni di complottistə, cosiddetti no-gender, terf (sedicenti femministe radicali che negano l’identità di genere delle donne trans*) e quant’altro, nella fiera dell’odio e dell’ignoranza.

Le persone trans* e lə attivistə sono giustamente insortə segnalando la questione, e alcuni di questi articoli sono stati modificati. A distanza di qualche settimana, anche se forse troppo tardi, alcune delle maggiori testate italiane hanno pubblicato articoli di scuse o chiarimenti sulle loro linee editoriali sul caso Page. Tra questi, Repubblica ha pubblicato Elliot Page, le parole per dirlo: ecco cosa abbiamo imparato finora di Pasquale Quaranta, che spiega come la redazione abbia deciso di cambiare alcune scelte linguistiche fatte nel loro articolo originale, in accordo alle linee guida della Glaad, organizzazione no-profit americana che si occupa di promuovere la corretta rappresentazione delle persone LGBT+. Inoltre, l’articolo coglie l’occasione per fare un po’ di informazione di base sulle identità non binarie e sulla transizione ormonale. 

Elena Tebano ha invece motivato le scelte fatte per il suo titolo sull’attore canadese per Il Corriere della sera nel suo articolo Il titolo giusto sul coming out di Elliot Page e la polemica sul «deadname». La tesi che sviluppa è razionale e attenta a esser rispettosa nello spiegare, come sopra, la necessità di contestualizzare la celebrità. Tuttavia, fa personalmente storcere il naso la generalizzazione conclusiva per la quale afferma che citare il deadname di una persona, laddove non sia chiaramente denigratorio, sia un modo per «capire cosa significa la sua transizione» e onorarla (anche qui, chi ha parlato di transizione?).

C’è però un segnale positivo: sembra che in linea di massima il linguaggio usato dai giornali per parlare delle persone trans* sia sensibilmente migliorato, se facciamo ad esempio il paragone con la vicenda tragica di Ciro e Maria Paola Gaglione della cronaca di pochi mesi fa, in cui veniva addirittura negata l’identità di Ciro. Certo, passare dall’aperta transfobia a un uso corretto dei pronomi dovrebbe essere il minimo sindacale, e come si è visto non mancano affatto ancora le controversie. Tuttavia, una maggiore consapevolezza e un’evoluzione del linguaggio è possibile: possiamo prendere il caso di Elliot Page come un esempio importante per problematizzare la rappresentazione mediatica delle persone trans* in Italia, e usarlo come spunto per imparare e insegnare a rispettare l’identità di genere di ogni individuo, e non solo delle star del cinema.


N.b.: per questo articolo ho scelto di non citare mai il deadname di Elliot Page: non ritengo sia necessaria in questa sede quel tipo di contestualizzazione di cui ho parlato, non essendo questo un articolo di cronaca. Non ho altresì riportato i titoli problematici esatti e le rispettive testate perché in molti casi questi son stati giustamente corretti o eliminati (dopo svariate polemiche), e non sono per questo più reperibili. Mi sembrava tuttavia necessario esemplificarli per analizzare in maniera completa e critica l’evoluzione dell’impatto della notizia del coming out di Page.

Immagine nel testo da zazoom.it, in evidenza da cbsnews.com