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Ci sono esistenze che procedono tranquille, vite che non fanno gli sgambetti. E poi ci sono gli incidenti di percorso. Sono Pierluigi, un 36enne nato due volte. Uomo oggi e adolescente ieri, a sedici anni sono stato colpito da una malattia neurologica che mi ha progressivamente compromesso la capacità di muovermi agilmente. Uomo oggi, adolescente ieri e bambino ancora prima, da quando di anni ne avevo sei, so di essere omosessuale.

Mi sono ammalato in un periodo critico, quando ci si affaccia alla vita e la propria sessualità si comincia a viverla; e ho fin da subito dovuto mediare tra soggettività ed oggettività, tra voglia e difficoltà di vivere. All’inizio non è stato facile: perché quando al tuo essere omosessuale il cielo ti vomita addosso una tempesta come quella che mi ha travolto, tutto diventa più difficile. E capita di buttarti via, di frequentare luoghi di battuage come i parcheggi che, permettendoti di non dover scendere dalla macchina e mostrare il tuo problema, ti danno l’illusione di essere esattamente come gli altri. Il che è un errore, in quanto è stupido negare la diversità.

Che, a ben guardare, non è solo una. Inizialmente mi sono, infatti, sentito vittima di una doppia diversità e, carnefice di me stesso, ho trascorso anni bui durante i quali ho negato la differenza che, rispetto a quella fisica, potevo nascondere agli altri. Ma non a me stesso. A prendere il coraggio spesso non bastano quattro mani e almeno otto me ne sono servite per intraprendere un percorso psicoterapico volto a conoscermi e ad accettare la mia diversità elevata al quadrato.

È solo portando allo scoperto ciò che è nascosto, o che nascosto si vorrebbe tenere, che si impedisce all’ombra di farsi più scura; ed è solo illuminandola con l’aura consapevole della consapevolezza che le si impedisce di sconfinare nelle deformità della patologia. Lottando e combattendo mi sono costruito una corazza sufficientemente forte ad andare incontro al mondo e ad entrarci dentro con il mio corpo disabile e la mia abile sessualità.

Accostare alla disabilità i sensi connettendo costrizione e libertà, stride con il sentire dei più; e se la sessualità di un disabile etero crea imbarazzo, quella di un disabile gay può addirittura sconvolgere. L’odioso senso comune sostiene che il disabile sia asessuato e privo di pulsioni; ma cosa succede se a questa specie di angelo – con ogni probabilità biondo, paffuto e avvolto in un candido manto – i capelli si arruffano facendosi corvini e da sotto la tunica gli spunta una codina stuzzicante? Cosa succede se Pierluigi trasloca dal cielo e si stanzia sulla terra, rinunciando alle ali e rivelandosi un individuo di carne e sangue che può amare e fare sesso? Beh, succede che il disabile si rivela innanzitutto un portatore di sessualità. Che può certamente innamorarsi e coronare il sentimento con un romantico fare l’amore. Ma che può anche solo volersi divertire e fare sesso (meno romantico, forse, ma non meno piacevole).

Finora ho avuto due storie importanti intervallate da alcune avventure e, quando lo rivelo, la domanda che più spesso mi sento rivolgere è se il mio partner non si sia sentito in imbarazzo trovandosi di fronte ad un corpo diverso. A volte l’imbarazzo c’è stato; ma si è trattato di un momento legato a pratiche questioni di mobilità che si sono sempre risolte per il meglio. Posso dire che la mia vita è soddisfacente nonostante tutto; certo se potessi nascere una seconda volta e cambiare qualcosa, rinuncerei volentieri alla malattia. Ma stiamo parlando a livello ipotetico e con la teoria ha poco a che fare la vita. Che mi ha fatto lo sgambetto.

Ma io non sono caduto perché ho imparato a saltare.

pubblicato sul numero 6 della Falla – giugno 2015