PERUGIA, DAL 26 AL 28 APRILE, OSPITERÀ LA QUARTA EDIZIONE DEL FESTIVAL DI MUSICA CORALE

di Nicola Mainardi e Marco Boscolo

Chiudiamo gli occhi e immaginiamo come sarebbe se tutti i teatri della città si tappezzassero di bandiere arcobaleno, se le strade fossero invase da cori di tutto il mondo riuniti sotto le due torri, per cantare ed emozionare i bolognesi, e se per una settimana Bologna diventasse la capitale della coralità LGBT+. Ora riapriamo gli occhi, senza che l’immagine svanisca: perché non è un sogno, ma quello che accadrà a giugno 2022, quando Bologna, Città Unesco della Musica e casa di una delle comunità rainbow più vivaci d’Italia, sarà la sede della quindicesima edizione di Various Voices, il Festival Internazionale dei cori LGBT+.

Da dove arriva questo grande movimento? Tutto comincia negli anni ’70 e ’80, quando le battaglie innescate dai moti di Stonewall diventano più mature e strutturate. In quel periodo, i grandi temi di riflessione sono il femminismo, motore della nascita dei cori di donne lesbiche e dei cori queer, e la lotta all’AIDS, che funge da stimolo soprattutto per i cori gay maschili.

“Se vuoi cantare, unisciti a un coro. Se vuoi cantare per cambiare il mondo, unisciti a un coro gay”. Le parole di Gary Miller, fondatore nel 1980 del New York Gay Men’s Chorus, sono la perfetta sintesi di ciò che rappresenta la coralità LGBT+: il canto come forma di lotta contro le discriminazioni e per i diritti civili.

I palcoscenici agli inizi del movimento sono il Nordamerica e, in Europa, l’area anglo-tedesca. Con il tempo, il numero dei cori cresce, si espande geograficamente e sorge la necessità di fare rete. Nascono due organismi internazionali: Gala Choruses, nel 1983 negli Stati Uniti, mentre l’equivalente europeo, Legato Choirs, arriva nel 1997. La crescita del movimento negli anni ‘80 vede anche la comparsa di grandi festival, che permettono alla comunità canterina LGBT+ di conoscersi e incontrarsi. Various Voices, la stessa manifestazione che arriverà a Bologna nel 2022, si svolge per la prima volta nel 1985 a Colonia e prosegue fino ai giorni nostri con una periodicità che varia negli anni, fino ad assestarsi all’attuale cadenza quadriennale.

E in Italia? Il nostro paese non è stato molto all’avanguardia, nonostante siano migliaia i cori in attività nel nostro paese e il movimento LGBT+, già dagli anni ’70, abbia vissuto una grande crescita. Un primo tentativo ci fu proprio al Cassero, all’inizio degli anni ’90, grazie all’esperienza di un coro misto che si è esibito per lo più all’interno del circolo per circa un paio di anni.

Dobbiamo aspettare gli anni 2000 per vedere in scena i primi cori arcobaleno italiani, quando nascono il coro misto Roma Rainbow Choir, nel 2006, e Komos, nel 2008, composto esclusivamente da voci maschili. Una volta dato il la, negli anni successivi in molte città italiane si formano nuovi cori: Milano, Padova, Napoli e Torino sono le prime città a essere contaminate, fino a quando, nel 2015, nasce un festival tutto italiano. La prima edizione di Cromatica si tiene proprio a Bologna, che simbolicamente si conferma la capitale LGBT+ italiana.

Il movimento conosce una vera e propria esplosione, alimentata dall’onda di entusiasmo generata da questa rete a cui si continuano ad aggiungere nuove maglie. In soli tre anni assistiamo a un deciso aumento dei cori: dai sette cori partecipanti dell’edizione 2015, ai dodici di quest’ultima, che si terrà tra poco a Perugia, il 26, 27 e 28 Aprile.

Durante gli incontri di Cromatica, che si è costituita un anno fa come associazione, ci chiediamo come mai tutto questo stia succedendo proprio adesso e non sia successo prima. Un motivo può essere perché nel nostro Paese il fare politica, anche quella LGBT+, è storicamente avvenuto per lo più attraverso modalità tradizionali, come associazioni, dibattiti, manifestazioni. Inoltre, in Italia la musica corale fa subito pensare all’opera, al repertorio liturgico, alla musica popolare o ai canti degli alpini; meno a un veicolo per messaggi politici e per l’attivismo. Per questo Komos ha voluto, fin dai suoi esordi, ribadire la parola “gay” nel suo nome: per portare in Italia una tradizione mondiale ed europea che mettesse al centro la lotta per i diritti civili. Per dirla con le parole del nostro fondatore, Paolo V. Montanari: “non dobbiamo essere un coro qualunque, dobbiamo essere un coro che canta bene perché il pubblico si ricordi di noi e del nostro messaggio”. Per dare voce a tutte e tutti.