Quando penso alla mia storia, mi viene in mente quello che dicono i cultori delle scienze cognitive: l’io sarebbe un sistema complesso, composto da diversi agenti. Una pluralità in atto attraverso lo scorrere del tempo e dei tanti frammenti spesso sconnessi, depositati uno sull’altro come strati di ere geologiche. Mi sembra di essere nato in un altro mondo, quando ancora si lavorava la terra con i buoi, quando si faceva la fila per prendere l’acqua alla sorgente, quando si sgranavano le pannocchie alla luce della luna; c’erano le vecchiette pronte a raccontare e far sognare noi piccoli e c’era la chiesa vicina, grande e quasi sempre piena. Alla destra gli uomini e alla sinistra le donne e parroco e predicatori chiamati apposta che tuonavano dal pulpito contro i peccati e noi peccatori, minacciando l’inferno con il fuoco che brucia e non si spegne mai.

In famiglia era difficile cadere in tentazione. La mamma era molto devota e insegnava catechismo anche a casa; il babbo non si azzardava a criticarla, ma quando recitavamo il rosario e lui, stanco, si addormentava, lei lo svegliava e lo sgridava. Ma io un peccato l’ho commesso e grosso, stando alla reazione della mamma. Ero piccolo, più o meno tre anni, e dormivo con un mio fratello più grande di due anni. Per mia iniziativa ci siamo spogliati, abbiamo esplorato ogni parte del nostro corpo con tutto il piacere possibile per quell’età: la mamma ci ha scoperto, sgridato e separati per sempre.

A 12 anni sono entrato in seminario, era il 1960 e molti bambini finivano in collegio spinti dai genitori a studiare e ad avere successo. La mia era una scelta personale: volevo diventare sacerdote, missionario e santo. Col senno di poi è facile smontare tale decisione. E quindi giudicare condizionate e non sufficientemente motivate le ragioni della decisione. Ma scorrendo la vita come fosse un film, possiamo essere certi che le nostre principali scelte siano state del tutto libere, incondizionate e non meritevoli di qualche correzione? La mia nuova vita in seminario fu uno strappo, uno sradicamento, una rottura violenta col mio ambiente, col passato, con la mia famiglia e i miei cari: la prima fuga dalla mia vita e da me stesso. E benché il seminario fosse ben lungi dall’essere perfetto, io ero uno dei pochi a non farsi venire dubbi o ripensamenti: in prima media eravamo circa una sessantina di ragazzi, ma ogni anno diminuivano e chi ci lasciava, lo faceva alla chetichella, senza un avviso o un saluto.

Uno dei primi comandamenti che ci veniva ripetuto ossessivamente, e che ho sempre rispettato, era di evitare ogni contatto fisico coi compagni e di stare alla larga da amicizie, qualificate sempre come pericolose. Non ne capivo il senso, perché non si scoraggiavano solamente eventuali rapporti sessuali, ma anche le più disinvolte relazioni fra ragazzi: così mi rendo conto con profonda tristezza che, nei dieci anni vissuti dentro, non ho sviluppato amicizie. L’ultimo anno in seminario fu il peggiore: erano crollate le mie certezze, i miei ideali e la mia stessa fede; non riuscivo più a negare la mia omosessualità con il suo carico di vergogna e, quindi, uscire da lì era più un fatto di onestà e coraggio intellettuali che di convenienza. Davanti a me c’era l’incognito e la necessità di ricominciare tutto da capo a 22 anni: un secondo strappo, una seconda fuga dalla mia stessa vita e, questa volta, senza un ideale trascinante.

Me ne andavo carico di sensi di colpa: lasciavo pochi amici e mi sentivo un traditore verso alcune figure di superiori che stimavo, perché il legame che si instaura con il proprio mentore può essere molto forte e solo dopo anni mi sono reso conto del pesante ricatto psicologico che cui mi avevano sottoposto, quando mi avevano convinto di essere un prediletto dal Signore, un eletto al di sopra dei compagni.

Ripresa in mano la mia vita, non mi sono risparmiato: mi sono reso conto che la mia omosessualità non poteva e non doveva essere repressa; ho cercato nuovi stimoli, nuovi ambienti e nuove esperienze di vita. E, pur essendo uno studente universitario, ho cercato lavoro a Milano nei primi anni ’70, proprio quando il movimento LGBT si stava organizzando con leader storici come Mario Mieli e Corrado Levi.