Tra la fine della mia ultima (e unica) relazione con un ragazzo e l’inizio della mia prima relazione con una ragazza nel mezzo ci sono state parecchie tempeste. Non vorrei chiamarlo momento di confusione, perché io non ero confusa. Me ne stavo lì, come una zattera a galleggiare nella tempesta e a farmi trasportare dalla corrente. È un momento che probabilmente precede ogni cambiamento e per me questo era il modo migliore di viverlo: lasciarsi sballottare un po’. Il corrispettivo di tutto questo, nel mondo dei vivi, era che flirtavo con la qualunque, mi facevo corteggiare da ragazze improbabili, limonavo con coppie, mi infilavo in situazioni spinose e non facili da gestire, specie a 24 anni, quando pensavi di aver ormai capito quantomeno la tua sessualità – le mie due compagne di banco si sarebbero sposate l’anno dopo. E invece no.

Premesso che sono sempre stata troppo pigra per nascondere le cose in famiglia, se è vero che la mamma è sempre la mamma (in realtà qualsiasi genitore è sempre genitore) lei, nel frattempo, aveva già capito tutto.

Aveva l’abitudine di incalzarmi almeno quotidianamente, caricavo la lavastoviglie e lei d’improvviso: “Quindi ora è così?!”. Cercava risposte che neanche io avevo, sentiva che stava perdendo il timone.

Ma chi è mia madre? O meglio, chi sono i miei genitori? Eccone un breve ritratto.

Mio padre, classe ‘61, capostazione di Foggia da 44 anni; non si diploma perché, distrutto dalle sofferenze d’amore, decide di darsi al lavoro; alla morte di mio nonno prende il posto in ferrovia dove svolge da sempre attività di sindacato in CGIL, sezione metalmeccanici. Mia madre, classe ‘64, lascia l’università al primo anno perché incinta di mia sorella maggiore; nel 1999 vince un concorso in banca in quanto facente parte di categoria protetta; da sempre sindacalista in CGIL FISAC, referente della rete donne CGIL.

Nel 2015 scendono entrambi in piazza per l’approvazione del DDL Cirinnà. Ospitano, nella tavernetta di casa nostra, entrambe le mie cugine lesbiche che avevano relazioni nascoste alle loro famiglie. Insomma il perfetto ritratto progressista sinistrorso e radical chic.

Tutto molto bello, finché si tratta della vita degli altri.

Ricordo ancora quella passeggiata/tranello che mio padre mi propose di fare al mare, in cui, spedito in missione esploratrice da mia madre, mi fece un discorso alla Call me by your name. Lui era quasi felice: nessun altro uomo nella mia vita, un sogno. Stappiamo! Ma, mi disse, mamma era preoccupata. Disse «noi lo dobbiamo sapere, così saremo pronti a difenderti» …Ma difendermi da chi?! Com’erano buffi, quei due cinquantenni terrorizzati.

Invero, nei mesi successivi, le cose con mia madre sono degenerate un bel po’. In quella fase eravamo come due margini divergenti che con i movimenti tettonici si allontanano: tra me e lei si stava formando una fossa oceanica.

Ricordo ancora con grande realismo il giorno in cui, piangendo disperatamente mi disse: «tanto io non lo accetterò mai».

La sua era la preoccupazione, di tutti i genitori, che avrei avuto una vita difficile, fatta solo di discriminazione, emarginazione, sofferenza. Io intanto avevo cominciato la mia psicoterapia. In quel momento fu molto utile a lenire i miei sensi di colpa e a capire che io stavo facendo il mio percorso, che per certi versi era anche tanto entusiasmante, e lei doveva fare il suo. Non era compito mio accompagnarla. Soltanto il tempo ha potuto dimostrarle che non c’era per me un futuro di sofferenze, anzi, io ero sempre più felice, sempre più in contatto con me.

Poi è arrivato l’impegno in Arcigay, nel 2019 sono stata eletta presidente del comitato di Foggia e quel percorso di rivendicazione, forse, ci ha definitivamente avvicinate. Mia madre riconosceva in quel mettere il mio privilegio a servizio degli altri, nella responsabilità della rappresentanza, l’impegno che da sempre aveva contraddistinto la sua vita. Oppure, semplicemente, ha capito che in quella battaglia c’era solo da perdere e ha deciso di stare da questa parte della barricata.

Oggi, mia madre è una mamma Agedo, da poco è nel direttivo di Agedo Foggia “Gabriele Scalfarotto”, e lo scorso 10 giugno al Foggia Pride ha portato insieme a me, mio padre e mia sorella, lo striscione di testa del corteo che abbiamo organizzato insieme. Mi commuovo mentre lo scrivo, perché non è scontato essere così fortunatə in questa vita e dovevo proprio essere una fata, in una vita precedente, per meritare tutto questo bene.

A volte è dura con me, come lo è con se stessa, ed essere insieme in questo percorso mi costringe a mettere sempre in discussione il mio punto di vista, perché il suo parere vale mille volte più degli altri ed è ancora l’unica donna al mondo in grado di mettermi in crisi con due parole. Ma quello che più amo è condividere l’entusiasmo, aprire le porte di casa nostra a tutti i viaggiatori e le viaggiatrici, preparare insieme un divano letto oppure le polpette. È questa sua apertura, questo dire, senza dirlo: «voglio imparare, fatemi imparare», pronta a dare battaglia a genitori resistenti al cambiamento e fascisti di ogni ordine e grado.Quando andiamo insieme nelle scuole e raccontiamo la nostra esperienza lei dice sempre «questa è la mia straordinaria, straordinaria figlia», e credo che per straordinaria intenda proprio il senso letterale del termine: extra-ordinario, fuori dall’ordinario. Vivo una vita fuori dalla norma etero-cis-patriarcale e ho portato mia madre con me, in questo spazio di condivisione a volte scomodo e in salita, ma con una vista bellissima, dalla cima. Mi viene in mente sempre quando, nelle giornate di famiglia, do un bacio alla mia compagna davanti a lei e lei, ridendo sotto i baffi, dice: «ma chi me lo doveva dire a me…!».