Sono una donna e sviluppo giochi da tavolo. Sono anche una persona trans. Contribuire allo sviluppo e creazione di un gioco mi sembrava impossibile. Ho avuto la fortuna di poter lavorare in questo settore grazie ad alcune conoscenze che mi hanno aiutata, ma questo è avvenuto quando la percezione che la società aveva di me era ancora maschile. In quel momento era molto più facile inserirmi. Era il 2017 e stavo cominciando la mia transizione sociale proprio mentre stavo per mettere il mio nome sul primo gioco a cui ho lavorato. In un certo senso, vedere quel nome è stato uno stimolo ad accelerare i passaggi, affinché comparisse il nome che mi ero scelta, Marta.

L’anno successivo, Wingspan, quello che da alcune persone è definito come erede spirituale del Monopoly, ha fatto la sua comparsa sugli scaffali di mezzo mondo. Wingspan è celebre per varie ragioni, ma anche per via della sua autrice, Elizabeth Hargrave, che riaccenderà negli anni seguenti, con la sua presenza e il suo attivismo, l’attenzione sulla mancanza di donne e persone non-binary nell’industria del gioco da tavolo, specialmente nelle vesti di autrici. La presenza di Hargrave nell’industria è stata importante per me perché mi ha fatto rendere conto di non essere sola, e di poter portare me stessa nel mondo del gioco da tavolo.

Quel gioco che ha contribuito tanto alla fondazione del nostro settore, Monopoly, aveva qualcosa in comune con Wingspan, sebbene questo fatto venne nascosto per molti anni. Il gioco era stato ideato a sua volta da una donna, attivista e che aveva lottato per guadagnarsi il suo posto in un mondo dominato dagli uomini. 

Fu Elizabeth Magie, nel 1902, a scrivere le regole del Monopoly, che prima di chiamarsi così, era conosciuto come The Landlord’s Game. Lizzie lo creò con un’idea precisa: mostrare i vantaggi del Georgismo, anche conosciuto come “single tax movement”, in risposta al fenomeno dell’accaparramento di terreni, pratica in espansione in quegli anni. In sostanza voleva dimostrare come una legge di tassazione progressiva sui terreni che gravava principalmente sui grandi proprietari terrieri permettesse di redistribuire la ricchezza in modo equo.

Per fare questo The Landlord’s Game presentava due sistemi di regole da usare con gli stessi pezzi: una versione monopolista, che è poi antenata di quella che conosciamo, e un’altra versione anti-monopolista. L’idea era di giocare col primo set di regole finché abbastanza persone fossero frustrate dall’impoverimento e non avessero votato, nel corso della partita, per cambiare al secondo sistema di regole, così da dimostrare come quest’ultimo portasse a un’esperienza più desiderabile per tuttə lə partecipanti.

Per Lizzie il gioco era un importante strumento di lotta politica, un mezzo propagandistico che grazie all’esperienza data poteva concettualizzare in modo più efficace idee politiche che per molte persone rimanevano confinate alla teoria. Insomma, in qualche modo il gioco era strumento simulativo, pulsante, osmotico del pensiero autoriale. Qualcosa del genere lo sapeva bene anche il movimento britannico delle Suffragette, che in quegli anni realizzò dei giochi per far comprendere l’importanza della propria lotta. Oggi invece ci troviamo a scontrarci con persone che sostengono che i giochi sono troppo politici e che non dovrebbero portare le nostre prospettive al loro interno.

Lizzie stessa non era nuova all’attività politica. Figlia di un editore di giornali anti-capitalista e abolizionista, era stata formata grazie a libri come Progresso e Povertà di Henry George, e esprimeva sé stessa attraverso la recitazione e la scrittura. Il pieno potenziale creativo però l’ottenne con i giochi. Quando l’idea di The Landlord’s Game prese forma, fece richiesta per brevettarlo. In quel periodo, meno dell’1% delle richieste era presentato da donne.

Lavorando da stenografa e incontrando varie difficoltà (guadagnava meno di 10$ a settimana), si rese protagonista di un gesto avanguardista: decise di mettersi in vendita. In modo fortemente provocatorio e femminista, evidenziò come fosse impossibile per una donna ottenere indipendenza economica. Decise quindi di pubblicare un annuncio in cui si offriva come «giovane schiava americana, non bella, ma molto attraente, dotata di straordinaria personalità, pur mantenendo una certa femminilità». Finì sui titoli di testa di importanti quotidiani, e nelle interviste che seguirono rimarcò in modo netto il suo pensiero: «le donne hanno desideri, aspirazioni, ambizioni, non siamo macchine!».

The Landlord’s Game si stava diffondendo in numerose università, grazie al contributo di professori che lo usavano a lezione, e poi di studenti che ne realizzarono proprie versioni artigianali. Iterazioni del gioco si diffusero in tutti gli Stati Uniti, spesso private della seconda parte di regolamento, fino a fare capolino a casa di un uomo, Charles Darrow, che senza il minimo interesse per la storia del gioco e di chi gliel’aveva presentato ne realizzò una sua copia e la propose come idea originale alla Parker Brothers. Dopo alcuni tentennamenti, la casa editrice lo pubblicò come Monopoly.

Come da copione, la storia di The Landlord’s Game non era mai stata celebrata né riconosciuta dai suoi editori, seppur consapevoli della sua esistenza: infatti la Parker aveva più volte rifiutato il gioco proposto da Lizzie, e decise di produrlo solo dopo aver visto le esorbitanti vendite realizzate da Darrow in autonomia. Per anni le origini furono prima insabbiate, poi ricostruite e romanzate, raccontando di come una società sull’orlo del fallimento, avesse deciso di accettare il gioco di un visionario uomo d’affari, così da arrivare finalmente al successo. Questa stucchevole narrativa rimase nella memoria dei più fino a tempi molto recenti, dal momento che venne inclusa anche in alcune edizioni del gioco e incorporata nel sito ufficiale.

Fu solo grazie a un processo, durato oltre 10 anni, che venne a galla la verità. Nel 1974 Ralph Anspach distribuiva un gioco di sua creazione, Anti-monopoly, che si proponeva come strumento di lettura critica del Monopoly. Venne citato in giudizio proprio dalla Parker per infrazione di copyright. Anspach scavò in profondità e fu così che scoprì i brevetti originari di Lizzie Magie. I giudici gli diedero ragione: la storia dell’origine del gioco era lì, sepolta, oscurata allo sguardo e sostituita con una più giusta e rispettabile, almeno per chi deteneva il potere e poteva decidere cosa raccontare.

Monopoly è frutto di un design, smembrato e distorto, che in origine era fortemente politico e rivoluzionario, creato da una donna che meriterebbe molto più di quanto ottenne in vita: dal suo gioco infatti, Lizzie incassò soltanto 500$, pagati dalla Parker per evitare rogne e malumori. Questa è l’eredità collettiva che ci lascia il prodotto. Lizzie morì nel 1948 in silenzio, dimenticata, violata e messa da parte: oggi però possiamo scegliere la sua di eredità, che ci spinge alla lotta e alla riappropriazione.

Un ringraziamento a Matteo Lupetti per i preziosi consigli.