Cosa hanno in comune la lotta alla transfobia, i diritti civili della comunità afroamericana e lo sviluppo di progetti educativi nei paesi in via di sviluppo? Lo scorso 23 marzo, il suicidio di Blake Brockington, un attivista americano transessuale diciottenne, è stata l’ennesima perdita prevenibile del talento di un ragazzo che prometteva di essere una forte voce dell’impegno per la giustizia sociale. Blake diventò famoso essere stato incoronato homecoming king (uno studente con particolari meriti, eletto dai propri compagni di scuola), per giunta in una regione degli Stati Uniti particolarmente conservatrice, grazie al suo impegno nella raccolta fondi per l’organizzazione di sviluppo sociale “Mothering Across Continents”. In seguito era diventato una figura di riferimento della comunità LGBTQ, ed era stato uno dei principali organizzatori nella sua regione di manifestazioni contro il razzismo e la brutalità della polizia in seguito ai fatti di Ferguson. Si ipotizza che la depressione che lo portò al suicidio sia stata fortemente alimentata dagli attacchi ricevuti dopo che la storia del suo incoronamento era diventata famosa in tutto il paese, da lui stesso identificati come tra i più duri colpi ricevuti dal suo coming out.
Storie come quella di Blake sono un doloroso promemoria degli allarmanti dati sulla correlazione tra identità minoritarie e problemi di salute mentale: un terzo degli e delle adolescenti LGB riportano di aver pensato al suicidio, mentre nel caso di giovani transgender la percentuale sale fino al 50%. Non a caso, l’edizione di quest’anno della “Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia” (IDAHOT), celebrata il 17 maggio in più di centotrenta paesi, si concentrerà sulla gioventù LGBTQ e sui suoi ostacoli nell’accesso a salute, educazione e sicurezza. Problemi segnalati come di particolare importanza sono “il benessere mentale, l’abuso di sostanze, la salute sessuale e riproduttiva, i disordini alimentari”. L’anno passato l’Italia si è distinta come uno dei paesi più attivi in Europa, con iniziative in quattordici città tra sit-in, preghiere, flash-mob e conferenze. Mentre ci prepariamo a celebrare l’IDAHOT, ricordiamo Blake come un esempio dell’importanza della lotta contro la discriminazione e il bullismo, ma soprattutto come un’ispirazione per dare sempre al nostro attivismo una dimensione trasversale e intersezionale. Per un impatto reale sulle condizioni di vita della gioventù LGBTQ, le lotte del movimento devono essere ramificate e inclusive: non solo matrimonio, ma anche azione nelle scuole, accesso alla salute, prevenzione del suicidio e dei disturbi psicologici, supporto agli adolescenti senza casa. E ancora oltre, perché la passione per i diritti della nostra comunità si possa espandere e diventare solidarietà per le rivendicazioni di tutti i gruppi in lotta, come Blake ci ha mostrato.
pubblicato sul numero 5 de La Falla – maggio 2015
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