Intro a cura di Lesbiche Bologna

In questo secondo articolo della serie Genitorialità ribelli e s/famiglie queer Laura Bortolotti racconta cosa è successo alla sua famiglia dopo il suo coming out come lesbica, in un viaggio che parte dalle serie anni ‘70 e arriva alla queerness dei giorni nostri, passando per la tragedia greca.

di Laura Bortolotti

Quella che ho oggi non è la famiglia che mi sarei immaginata da bambina. Sono cresciuta con immaginari famigliari semplici, ordinari: due genitori di sesso opposto, figli e figlie, un numero imprecisato di animali. Per gli adolescenti della generazione X come me, i riferimenti televisivi sulle famiglie erano quanto di più tradizionale si potesse immaginare. Tanto per citarne alcune delle mie preferite, nella Famiglia Bradford, leggendaria serie TV che raccontava le avventure di una famiglia numerosa, su ben otto figliǝ nessunǝ era nemmeno lontanamente queer. Neppure La famiglia Addams, sebbene portasse alla luce, in un modo per quei tempi rivoluzionario, personaggi non conformi e relazioni non convenzionali, tra le sue tante stranezze non ne annoverava alcuna riconducibile alla comunità Lgbtqia+. E poi La casa nella prateria, celebre epopea della sfortunata ma felice famiglia Ingalls, di cui si è tornato a parlare recentemente per il suo prossimo reboot su Netflix, per il quale un certo giornalismo conservatore americano paventa una deriva woke. E sebbene la protagonista di allora rivendichi che la serie sia sempre stata woke, perché trattava molti temi legati alle marginalità, è vero che nessuno di questi riguardava orientamento sessuale o identità di genere. Ciò premesso, non è strano che la “nostra” idea di famiglia si fermasse lì, a un rassicurante tradizionalismo. Anche la mia famiglia di origine lo era, per quanto anticonformista e di mentalità aperta, e così è stata la famiglia che poi ho costruito con il mio ex compagno: io, lui, un figlio, una figlia, tre gatti, due tartarughe, dieci galline, molte api.

Poi le cose sono cambiate, io sono cambiata. Lo schema rassicurante non mi bastava più. E questo ha cambiato tutto e ha costretto tuttǝ a cambiare. Siamo passatǝ dalla commedia anni ’70 alla tragedia greca, in quel punto che si definisce climax, quel momento in cui gli eventi precipitano, gli equilibri si rovesciano, le certezze crollano e si arriva alla catastrofe. All’inizio pensavo che la causa di tutto ciò fosse il mio essere lesbica, l’aver abdicato all’eteronormatività per sconfinare nel lesbismo, con tutto ciò che questo ha comportato: le relazioni con donne, il femminismo, l’attivismo. Oggi ho capito che non è stato tanto quello, ma il fatto che, come madre, io abbia operato una scelta di autoaffermazione, che comportava necessariamente l’uscita dal ruolo che, secondo la società, mi competeva. Non ero solamente una madre lesbica, ma una madre alla ricerca di sé stessa, presa da nuovi interessi, con minor tempo per la casa e la famiglia, o con un tempo differente, e con un diverso approccio all’educazione. E ovviamente c’è stata più di una persona pronta a dirmi (o a sottintendere) che avevo sbagliato, che avrei dovuto restare lì, continuare a recitare quella parte, quella della madre di famiglia, secondo il copione che altri avevano scritto.

Ma che cos’è una madre? E che cos’è una famiglia? È una questione di ruoli? Un padre, una madre, dei figli; due padri, due madri, genitore 1, genitore 2. Chi ha deciso chi deve fare cosa in una famiglia, chi ha detto che deve esserci una madre che accudisce e comprende, che è sempre presente e si sacrifica per tuttǝ, rinunciando a sé stessa e alle sue aspirazioni? Probabilmente è stato il rifiuto di tutto questo, assieme al desiderio per le donne, a spingermi fuori casa, fuori da quella norma che mi andava troppo stretta. E là fuori ho conosciuto altri tipi di s/famiglia, non più quella padre-madre-figliǝ, ma molteplici forme di relazioni affettive tra persone, coppie, troppie, polecole, gruppǝ di amicǝ, di compagnǝ, di amanti, senza schemi e senza ruoli, ma legate in maniera altrettanto, se non più, profonda. Quindi cos’è una famiglia? È quella delle serie anni ’70 che vedevo in TV da bambina, o quella delle s/famiglie queer che ho conosciuto da adulta? Oggi penso che una famiglia possa essere entrambe le cose o nessuna di queste, che possa essere qualunque configurazione di affetti le persone decidano di assumere, qualunque misura di sostegno decidano di darsi reciprocamente (ma anche di non darsi e di riservare esclusivamente a sé stesse) purché lo facciano con onestà e trasparenza. 

Tornando a noi, come è andata la nostra storia? Dopo la cosiddetta catastrofe, come è avvenuto il nostro esodo dalla tragedia? Forse ancora non è avvenuto, forse siamo ancora lì, a districarci tra il bisogno di tradizione e il desiderio di cambiamento; ma sicuramente, e a dispetto di tuttə, noi non abbiamo mai smesso di essere famiglia. Abbiamo smesso, questo sì, di dare per scontati i ruoli a cui eravamo abituati, per inventare qualcosa di nuovo. A lungo siamo state quattro persone che abitavano la stessa casa, anagraficamente due adulti e due adolescenti, ma emotivamente quattro adolescenti, scombussolatə tra regressioni inaspettate, sensi di colpa e crescite forzate. Per un lungo tempo ci siamo osservatə, scontratə, separatə e ricompostə, cercando di trovare nuovi equilibri lə unə verso lə altrə. Abbiamo parlato, soprattutto, abbiamo parlato moltissimo, a due a due, a tre a tre, tuttə assieme; abbiamo discusso e sviscerato ogni emozione e ogni situazione, fino a essere stanchə di parlare e a chiederci reciprocamente un po’ di silenzio.

Ancora oggi, dopo che la bufera è passata, rimaniamo qualcosa in divenire, e non abbiamo immaginari a guidarci lungo il cammino. Anche se oggi le s/famiglie abitano molte rappresentazioni televisive e cinematografiche (e magari, a dispetto del giornalismo conservatore americano, anche il reboot della Casa nella prateria avrà lǝ suǝ personaggiǝ queer) è pur vero che ogni storia è diversa e che la strada non te la mostra nessuno. Ogni tanto lə nostrə figliə ci insegnano qualcosa, altre volte la insegniamo noi a loro, il più delle volte impariamo assieme, anche e soprattutto dai nostri errori. Per me oggi è questo essere una famiglia, un susseguirsi di caos e ordine, catastrofi e risoluzioni, senza un copione, senza un finale, senza ruoli predefiniti, ma sempre restando unitə: noi, tre gatti, una tartaruga, molte api. 

Sì perché intanto le galline sono volate via e una tartaruga (la femmina) è scappata.

Il titolo si ispira a “La mia famiglia e altri animali” di Gerald Durrell, uno dei libri che ha alimentato la mia passione per la natura.

I miei famigliari hanno letto e approvato il contenuto dell’articolo e nessun animale ha subito maltrattamenti.

Immagine in evidenza: dressingdykes.com