C’era una volta, in una piccola città in provincia di Lodi, una ragazza di nome Giulia. Quando iniziò l’università le si aprì un modo totalmente nuovo e, dopo una fase iniziale di confusione, decise di identificarsi come lesbica femme.

Fin da subito nutrì il desiderio di trovare luoghi per poter esprimere se stessa senza paura di pregiudizi, un posto dove sentirsi accettata e libera di amare. Negli anni però incontrò alcune difficoltà. La cosa peggiore è che alcune affermazioni, che la portarono a sentirsi sola, sbagliata, confusa e inadeguata, le vennero condivise non solo da persone lontane dal mondo LGBTQIA+, ma anche da coloro che ne fanno attivamente parte e che ogni giorno si battono per un mondo equo e inclusivo.

«Se non mi avessi specificato di essere lesbica avrei pensato il contrario»

«Quando ti ho vista per la prima volta ci avrei anche provato ma pensavo fossi eterosessuale»

«Hai i capelli lunghi, ti vesti abbastanza femminile, non giochi a calcio….non ce ne sono tante di lesbiche come te»

Giulia cominciò ad avere la sensazione che le donne che si presentavano in modo più androgino o che rifiutavano le aspettative di genere erano accolte con calore, in contrapposizione sentiva invece come se la sua identità fosse considerata superficiale: in quel contesto la sua femminilità sembrava essere un motivo di discriminazione.

Cosa fece quindi Giulia per colmare quel vuoto che sentiva? Fece delle cose totalmente sbagliate.

Iniziò a immaginarsi con i capelli corti, cercando spasmodicamente foto di acconciature per cercare quella che più le si addicesse, ma poi pensò “ma io non c’entro nulla con questi capelli, non sono io”.

Iniziò ad acquistare indumenti stereotipicamente collegati al mondo lesbico, ma anche lì…non si sentiva a suo agio! Per esempio la camicia a quadri viola e nera le sembrava facesse risaltare ancora di più la sua carnagione troppo bianca per i suoi gusti.

Pensò di giocare a calcio, per fortuna è un pensiero durato il tempo di scordarselo perché non è proprio lo sport che fa per lei. 

Dopo tutti questi vani tentativi, cominciò a documentarsi, a cercare voci e anime come la sua per condividere gli stessi interrogativi. Scoprì un mondo immenso. Trovò persone che abbracciavano la pluralità delle identità e delle espressioni, dove la femminilità non è un limite, e scoprì il termine queer.

Da quel momento si posizionò in prima linea, decise di affrontare situazioni sgradevoli esprimendo e rivendicando con coraggio la sua identità e le sue idee. Cercò di farsi spazio nella società mostrando, anche attraverso l’utilizzo dei social, che anche lei esiste. 

Oggi Giulia ha intorno a sé persone che la sostengono, non si sente più sbagliata e non sente più la necessità di doversi definire a priori, e quando lo fa non è di certo per giustificarsi. Rifiuta categoricamente l’esigenza di dover seguire dei canoni estetici di identificazione predefiniti. Lotta con la sua mancanza di autostima sì, ma questa è un’altra storia.

Giulia forse in futuro si taglierà i capelli, ma sarà perché lo vuole lei.

Per il calcio invece, nessuna speranza.

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