Storie della Calabria che non canta

di Ethel Gallo

Sulla carta, 5180 abitanti. Nelle strade sembrano molti di meno, perché li conosci uno per uno. Quando ti fermano, ti identificano subito; i lineamenti tradiscono di chi sei figlia. E già sanno tutto: la compagnia, i fidanzatini, cosa studi. Abbastanza da dare l’impressione che non esista una tua vita privata, che tutto sia alla mercé di tutti. Sarà che gli spazi sono ristretti: un pub, una piazza, un parco. Ciò che accade lì vi rimane a gravitare come un fantasma e prima o dopo tutti sanno tutto.

Sembra che la popolazione si divida in due: chi scappa, chi resta. È una scelta che si compie da subito, quando decidi se andare nell’unico liceo a meno di 30 chilometri, o spostare la tua vita in una città completamente estranea, a una corsa di bus di distanza. Una scelta apocalittica, l’aut aut che definisce la tua vita.

Puoi provare a vivere in un limbo che sta a metà, ma ne finisci intrappolata. Una vita nel paese, una vita dove vai a scuola. In quei 30 chilometri cambi abbigliamento, modo di parlare, di presentarti. Ti spogli del vestito da brava ragazza prima, poi dal vestito da ragazza e basta. Fai coming out con chi è come te, poi con tutti gli altri. Nessuno, quasi nessuno, sembra respingerti; non vedi sguardi disgustati. La paura rimane lì: alla fine 30 chilometri non sono altro che mezz’ora in auto e hai visto cosa succede a chi sottovaluta la velocità con cui viaggiano le notizie. Non dimentichi chi, tra quelle 5180 persone, ha fatto coming out con te da ubriaco e l’ha negato per i successivi quattro anni, per non farsi buttare fuori di casa. O le uniche due donne che hanno vissuto la loro relazione all’aperto e si sono trasferite dopo pochi mesi. Lasci la Calabria, la paura ti segue.

Hai sempre voluto fuggire, perché senti di vivere nella periferia del mondo, una mezza vita che non consiglieresti a nessuno. Una vita vissuta in silenzio, cercando il coraggio di far sentire la tua voce – coraggio che arriva solo una volta che sei andata via. Continui a rinfacciartelo, perché è proprio lì dove ce ne sarebbe più bisogno che non ti fai sentire, lì dove vige l’omertà di tutti. Calabria dei briganti, Calabria delle persone che cantano, amano, ridono. Calabria dove sei gay ma non hai voce, non puoi dirlo, che figura fai fare alla tua famiglia? Un giorno ti farai sentire anche lì. Un giorno, quando non avrai più paura: è una promessa.

Sarà sempre la prima immagine che ti viene in mente quando parli di casa: la piazza, il pub e il parco, dove hai cominciato a camminare, a correre, a pensare. Dove incontri gli amici che hanno deciso di restare, che ti conoscono ma solo in parte e per ora va bene così. Ti chiedono dove hai deciso di studiare: tutti sanno tutto, e tutti sanno che hai deciso di scappare, anche se ancora nessuno sa il perché. Di nuovo quel bivio, quella doppia casa: il paese che non ti ha mai accettato del tutto e la città lontana 800 chilometri che ti ha accolto, dove ti è permesso vivere per intero. Forse ci sarà un giorno in cui non avrai più bisogno di dividerti tra due vite, facendo i salti mortali per celare una parte di quello che sei. Ma quel giorno non è oggi né domani, e rimani nel limbo.

pubblicato sul numero 44 della Falla, aprile 2019

immagine realizzata da Mara Santinello